Che fine ha fatto Industria 4.0 e come rivitalizzarla
06 Dicembre 2022
Archiviato lo “Stato imprenditore” di contiana memoria e superato l’interregno di Draghi, è la volta dello “Stato stratega”. Al di là delle facili ironie sulle sempre più varie e originali formule dialettiche messe in campo da politica e giornalismo italiani, è importante capire l’intenzione e il merito della nuova impostazione di politica industriale – a metà tra statalismo-protezionista e mercatismo – imperniata sui concetti di interesse e sicurezza nazionale.
La situazione di Ita, l’ex Alitalia, è nota a tutti. Da qualche giorno è spuntato sui giornali addirittura un piano industriale che prevede 1200 nuove assunzioni. Tutto questo dopo il fallimento della trattativa con Certares e il passo indietro di MSC dalla partnership con Lufhtansa, che resta in corsa. Del caso Tim e rete unica sono piene le pagine di giornali dal governo Renzi in avanti, il tira e molla verso un ruolo più attivo dello stato tramite CDP si sta intensificando di nuovo.
Industria 4.0, quali prospettive
Un discorso che può valere anche per l’ex Ilva di Taranto e di Priolo. Quando ci fu la crisi del 2008, gli Stati Uniti ampliarono il perimetro di intervento dell’economia. Ma, non appena fu possibile, lasciarono le aziende al mercato, come accade nelle economie occidentali più floride. Oggi Biden torna alla carica con “l”Inflation Act”…
Al Festival dell’Economia di Trento del 2021, Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, aveva espresso un concetto semplice. Lo Stato dev’essere un facilitatore, non un imprenditore. Ebbene, una delle misure più funzionali in tale direzione è stata Industria 4.0, che però è sparita dai radar. L’incontro della settimana scorsa tra Calenda, ai tempi ministro dello Sviluppo Economico, ormai diversi anni fa, e il presidente del consiglio Meloni potrebbe essere letto in questa direzione.
Un’opportunità di coordinamento per ridare slancio a una misura che aveva fatto bene all’Italia, ma che è rimasta incompiuta. Nato per favorire l’innovazione tecnologica, quindi aumentare la produttività del capitale, il Piano Industria 4.0 era basata su un doppio regime fiscale. Parliamo dell’iperammortamento e il superammortamento. Due erano i vantaggi indiscutibili.
La facile fruizione da parte degli imprenditori, in discontinuità con le abitudini della burocrazia, e l’orientamento verso l’utilizzo di macchinari centrali nella transizione digitale integrati con la fabbrica. A giudicare dai risultati, fu un successo. Ma poi cosa è successo? A sfruttare Industria 4.0 tramite l’iperammortamento, inizialmente, erano essenzialmente i gruppi a capo delle filiere. A cascata, le stesse imprese di filiera veniva coinvolte nella trasformazione tecnologica.
Con l’avvento dei due governi Conte, quindi di Di Maio e Patuanelli al Mise, si decise di rendere accessibili i fondi anche alle imprese di minori dimensioni. L’intensità del finanziamento si è progressivamente diluita, così come i benefici effetti. Stefano Firpo, presidente di Assonime e, ai tempi, Direttore Generale del MISE, interpellato dal Corriere della Sera, ha sollevato un’altra osservazione.
Una infrastruttura nuova di politica industriale
“Un limite che non si è riusciti a valicare è stato quello di non aver creato, come nelle ambizioni di partenza, quell’infrastruttura di politica industriale che è la forza dei nostri partner europei e che alle nostre Pmi sarebbe servita come il pane”. Impresa e università, ricerca e sviluppo, innovazione e produttività. Parole d’ordine, e i rispettivi mondi, che avrebbero dovuto interfacciarsi, comunicare e valorizzare lo straordinario tessuto imprenditoriale italiano, spesso, purtroppo, vincolato al passato.
“Nella manovra di fine anno, e più in generale nel bilancio del governo di Roma, non c’è spazio per conservare almeno il livello degli incentivi del 2022. Erano al 40% e passerebbero al 20%”, ha avvertito Dario Di Vico sul Corriere della Sera. La soluzione potrebbe essere rinegoziare una parte di PNRR per rifinanziare Industria 4.0, ottenendo una deroga rispetto alla normativa sugli aiuti di Stato.
Potrebbe essere anche l’occasione di integrare l’esistente con ciò che prevedeva il progetto iniziale. Ovvero, creare l’infrastruttura di servizi di trasferimento e sperimentazione tecnologica che permetterebbe la collaborazione e lo scambio di competenze, nonché di esperienze, tra enti di ricerca, broker di tecnologia, imprese e aziende di consulenza.
Soprattutto considerando il contesto in cui viviamo, in cui le risorse sono sempre più scarse, e gli ostacoli che le contingenze geopolitiche impongono a chiunque governi, la politica industriale è in una posizione sempre più delicata. Tra rilanciare le potenzialità delle imprese migliori e perseverare nella “zombienomics”, un vero Stato stratega non avrebbe dubbi sulla decisione da prendere.