
Rovesciare Putin e i mullah, assassini di bambini

16 Dicembre 2022
La guerra travolge tutto, anche i bambini. Ma un conto è dirlo, un conto è vederlo. Fu dovuto anche a questo il successo del libro “Il bambino con il pigiama a righe”, che poi è diventato anche un film di successo. Benché opera di fantasia, pertanto oggetto di alcune critiche, ha avuto il merito di riportare sotto gli occhi dell’opinione pubblica le atrocità che il nazismo aveva inflitto agli ebrei, perfino i bambini. Parliamo di un male sconfinato, un male penetrato e adagiato nella mentalità di tutti i nazisti, non solo di chi impartiva ordini. Quello che Hannah Arendt ha chiamato “banalità del male”.
In queste ore è impossibile non pensare ai piccoli Shmuel e Bruno che, inconsapevolmente, si incamminavano verso la camera a gas in cui sarebbero presto morti. A Kherson, in Ucraina, è stata fatta una scoperta raccapricciante. Dozzine di camere di tortura erano già state scovate negli Oblast di Kharkiv e Kherson, progressivamente liberate dall’esercito ucraino. Dmytro Lubinets, commissario per i diritti umani del parlamento ucraino, ha riportato testimonianze sconvolgenti. “Pensavo che il fondo non potesse essere rotto dopo Bucha, Irpen”. Una camera di tortura, infatti, è stata riservata ai bambini.
Testimonianze struggenti, raccolte in ordine sparso che non raccolgono abbastanza eco dei media. Ma arriverà il momento in cui il regime russo dovrà rendere conto dei propri crimini contro l’umanità. Al momento si conoscono pochi dettagli sulle atrocità riservate ai minori. Torture psicologiche, sicuramente. I soldati russi hanno cercato di persuaderli di essere stati abbandonati. Oltre a non averli quasi nutriti, “compassionevolmente” li hanno fatti dormire per terra sopra delle stuoie, privilegio non riservato agli adulti. Eccoli, gli “Shmuel” ucraini.
Un ragazzo, colpevole di aver fotografato dell’attrezzatura militare guasta, è stato imprigionato e torturato. Un altro, colpevole solo di essere ucraino, ha affermato di essere stato detenuto novanta giorni, durante i quali è stato ferito con un coltello e ustionato dai propri carcerieri. Con il tempo chissà quante altre storie emergeranno. Storie che l’Occidente credeva di aver eliminato per sempre dopo il processo di Norimberga che, invece, sono di nuovo sotto i nostri occhi, in casa nostra. Quale può essere la reazione dei governi e dei cittadini occidentali di fronte al fatto che lo stupro dei minori, anche di gruppo, è un’arma sistematicamente usata dai russi? Racconti irripetibili, che coinvolgono bambine anche di quattro anni. Come se già non fosse abbastanza sapere che sono addirittura 12mila i bambini deportati in Russia chissà a quale scopo.
Il male che le democrazie liberali pensavano vanamente di aver estirpato in Europa, tra l’altro, permane in molte parti del mondo. Il regime islamico iraniano sta reprimendo proprio quell’afflato di libertà che anima i manifestanti, nella quasi totalità appartenenti alle giovani generazioni. Tra loro, ci sono anche i più coraggiosi. I giovanissimi. Ragazzi davvero all’inizio del proprio percorso di vita, al limite della pubertà. Amir Hossein Rahimi ha 15 anni, è stato arrestato dalle milizie islamiche il 14 ottobre. La sua storia è venuta a galla grazie alla madre, che è riuscita a comunicare con il resto del mondo il suo dolore. Mariano Giustino, corrispondente di Radio Radicale, racconta che “l‘avvocato del regime non risponde alle sue telefonate”, Suo figlio è stato “ferito da proiettili” e le dice “Mamma, ho dolore al petto, allo stomaco, alla testa e al collo”.
Kumar Daroftadeh è morto crivellato di colpi a Piranshahr, una piccola cittadina. Mohammad Eghbal aveva nove anni quando ha iniziato a lavorare per garantire alla famiglia una vita più dignitosa, gli hanno sparato in pieno giorno per aver chiesto di telefonare al padre. Abolfazl Adinehzadeh, diciassettenne che era sceso in piazza per rivendicare i diritti delle tre sorelle, è stato seppellito dalla famiglia dopo aver ricevuto quasi trenta pallini di fucile in corpo. L’equipe medica era riuscita a toglierne una ventina quando, ormai, non c’erano più speranze.
Amir, Kumar, Mohammad e Abolfazl. Che colpe avevano? Volevano soltanto avere di fronte a sé una vita di libertà, inaccettabile per il regime teocratico di Teheran. Strappati dall’innocenza già da piccoli, come Shmuel, volevano inseguire la luce in fondo al tunnel dell’oscurantismo islamico. Loro avevano una speranza, ecco qual era l’inestinguibile colpa.
Secondo la HRA, Human Rights Activists, in Iran sono state 58 le vittime minori civili tra l’assassinio di Masha Amini e il 20 novembre. Alcune di solo otto anni. Tante tragiche storie, intrecciate tra loro e senza nome. Così come accade in Ucraina. Tragedie, spesso anonime, che non vengono raccontate da nessuno. Perché, dopo lo sgomento iniziale, le guerre e le proteste finiscono nel dimenticatoio. Ma l’Occidente, per il ruolo che ha avuto nell’ultimo secolo, non può permettersi l’ignavia. Non può permettersi di stare in silenzio davanti alle stragi, agli stupri e alle deportazioni di massa dei bambini ucraini. Non può tacere di fronte alle vite spezzate di chi è colpevole di bramare libertà e democrazia. Non può permettersi di fermarsi di fronte alla banalità del male.