Qatargate, Petrillo (LUISS): “Tra Roma e Atene c’è un problema di selezione della classe politica”
22 Dicembre 2022
Con Pier Luigi Petrillo, Professore di Teoria e tecniche del lobbying alla Luiss Guido Carli, parliamo del Qatargate, dei motivi per cui lo scandalo europeo non riguarda il lobbying e della regolamentazione di questo settore nel nostro Paese.
Quando è scoppiato il “Qatargate”, la presidente Metsola ha detto che il Parlamento europeo è sotto attacco. Secondo Lei per difenderci da pressioni indebite e dal rischio della corruzione da parte di Stati non democratici è sufficiente rafforzare i controlli e definire regole meno permissive per i lobbisti?
Occorre fare chiarezza: lo scandalo europeo non riguarda il lobbying, a differenza di quanto si sta leggendo sui giornali. I fatti di cronaca evidenziano una azione di corruzione, presumibilmente da parte di Stati esteri, nei confronti di decisori pubblici ed ex parlamentari. Questa non è lobby.
Il lobbying è una attività particolarmente complessa che si basa su una serie di studi e di ricerche che confermano o smentiscono puntuali scelte politiche del governo o del parlamento, ed è una attività svolta da professionisti riconosciuti tali.
Nel Qatargate non c’è un lobbista indagato, e non è un caso visto che a Bruxelles la normativa sul lobbying funziona bene. Ciò che non funziona sono le norme sui decisori pubblici e su coloro che cessano dall’incarico politico e che spesso si riciclano come mediatori e faccendieri.
C’è il rischio che un irrigidimento alle attività di lobbying possa rallentare il processo legislativo europeo e quindi di rendere meno efficace il nostro sistema decisionale?
Ogni sistema democratico si basa sul pluralismo. Il pluralismo, ovvero la pluralità di interessi che chiedono di essere ugualmente tutelati e rappresentati nel processo decisionale, è un pilastro dei sistemi democratici. Le democrazie devono assicurare che tali interessi plurali siano adeguatamente rappresentati nel processo decisionale, anche a costo di rallentarli.
I Parlamenti non sono delle fabbriche dove la produttività si misura in termini di leggi approvate. Sono luoghi di rappresentanza delle istanze plurali che provengono dalla società ed è dunque doveroso che i Parlamenti si aprano a questi interessi. Il lobbying è uno strumento, tipico di ogni democrazia, attraverso il quale gli interessi sono rappresentanti nei processi decisionali. Certo è essenziale che questa attività avvenga secondo norme chiare ed organiche in modo da assicurare la trasparenza del processo decisionale e la parità di accesso al decisore pubblico, evitando logiche di “clientela o parentela”. Ed è questo il punto cruciale per assicurare l’efficienza del sistema decisionale.
Finora la reazione italiana al Qatargate è stata rispolverare “la questione morale” di berlingueriana memoria. Possibile che ci si scandalizzi solo quando i magistrati svelano la corruzione? Non ritiene che vi sia un problema più profondo, legato a una mancanza di valori ideali forti e condivisi delle classi dirigenti europee ed occidentali? Che per questa ragione sia più facile prendere di mira a suon di euro singoli dignitari corruttibili per influenzare il decisore a proprio favore?
I fenomeni corruttivi sono sempre stati diffusi laddove esiste il potere e maggiore è il potere, maggiore è la capacità di distribuire risorse economiche e soddisfare interessi individuali, maggiore è la corruzione. Lo ha efficacemente notato l’ex presidente dell’Autorità nazionale anti-corruzione (ANAC) Raffaele Cantone in un libro, del 2018, scritto con Enrico Carloni (Corruzione e anti corruzione. Dieci lezioni, Feltrinelli 2018).
Le cause della corruzione sono molteplici e senz’altro dipendono, come dice lei, dall’assenza di un comune retroterra culturale basato su valori ed ideali forti e condivisi. Nella vicenda del Qatargate, colpisce che ad essere coinvolti siano prevalentemente italiani e greci. Possibile che i mediatori del Qatar e del Marocco abbiano trovato solo in loro terreno fertile?
Se è così, dobbiamo interrogarci come mai i politici italiani siano così permeabili e porci più di una domanda sulle modalità di selezione della classe politica che, nel nostro paese, sono legate da logiche di fedeltà al leader di turno, prescindendo da ogni competenza. Se la selezione della classe politica continuerà a basarsi su queste logiche, i fenomeni di corruzione aumenteranno in modo rilevante.
Venendo all’Italia, Lei ha più volte sottolineato che nel nostro Paese manca una disciplina della relazione tra decisori pubblici e gruppi di pressione. Si può dire che l’ambito di regolazione delle attività di lobbying si ferma solo al parlamento? Una delle scelte che sono state fatte nel nostro Paese è stata quella del registro della trasparenza, sulla scorta di quello europeo. Ma al di là delle certificazioni non bisognerebbe porsi il tema delle competenze, dei requisiti professionali, della capacità di autoregolamentarsi da parte dei portatori di interesse?
In Italia manca del tutto una regolamentazione organica del lobbying. La (sola) Camera dei deputati ha istituito qualche anno fa una specie di registro dei lobbisti ma è del tutto inutile e la norma del tutto inefficace tanto è vero che i principali lobbisti non sono iscritti nel registro.
E’ chiaro che l’assenza di una normativa in materia facilita i fenomeni degenerativi connessi al lobbying e impedisce a tutti gli interessi di poter accedere ad armi apri al decisore pubblico. La cosa più grave è che l’assenza di una regolamentazione organica impedisce di conoscere i reali interessi che il decisore politico di turno ha ritenuto di assecondare così gettando un cono d’ombra su tutto il processo decisionale.
Questa assenza determina una perdita netta in termini di PIL (come sottolineato dall’OCSE in una indagine di qualche anno fa) e allontana gli investitori stranieri. Nonostante questo quadro desolante, in Italia operano numerosi professionisti del lobbying e società di lobbying di prestigio. Penso alla FB&Associati o a Comin&Partner che da anni si battono per la trasparenza nel processo decisionale.