Il caso Orlandi non è una fiction
10 Gennaio 2023
Una giovane cittadina vaticana, appena quindicenne, in un caldo pomeriggio romano, fa perdere per sempre le sue tracce dalle parti di Palazzo Madama. Era il 22 giugno 1983, giorno della scomparsa di Emanuela Orlandi. Da allora, la figura della “teenager con la fascetta”, la cui immagine ricordava dai muri di Roma che no, a casa non aveva mai fatto ritorno, è stata inghiottita da un susseguirsi di misteri e retroscena lungo 40 anni.
E’ notizia di ieri che il Vaticano ha stabilito che si torni a indagare sulla scomparsa di Emanuela. Il promotore della giustizia vaticana Alessandro Diddi, insieme alla Gendarmeria, ha deciso di riaprire le indagini su una vicenda che ha visto la Santa Sede e le sue massime istituzioni lambite da ogni genere di ipotesi, accuse e polemiche.
Nel deserto di certezze prodotte dalle indagini su cosa sia realmente accaduto a Emanuela, in questi anni ogni sorta di scenario, più o meno grottesco e romanzato, ha guadagnato i suoi cinque minuti di legittimità.
Ior, mafia, banda della Magliana, ricatti sessuali, Marcinkus, Ali Agca, Fatima, Kgb e chi più ne ha più ne metta. Non è la trama di una collana di thriller ambientati tra le mura vaticane, ma la lista – nemmeno esaustiva – delle diverse verità inseguite e poi sfuggite dal 1983 in poi.
Orlandi, tra cinema e realtà
Recentemente la vicenda è tornata alla ribalta grazie alla miniserie “Vatican Girl”, prodotta e distribuita da Netflix. Alla piattaforma e agli autori il merito di aver riacceso i riflettori su una tragedia che ha squassato una famiglia. Ma anche quello di aver ben presentato la vicenda, con sapienza cinematografica.
Volendo però esprimere un auspicio verso chi si appresta a riaprire le indagini sulla scomparsa di Emanuela, è quello che stavolta si arrivi a conclusioni più concrete di quelle a cui giunge il documentario Netflix. Il lavoro degli autori, infatti, lungi dal rappresentare un’inchiesta, si risolve in una sorta di “riassunto” delle puntate precedenti. Un prodotto buono per parlare di nuovo della povera Emanuela sui social e sulle testate online, ma decisamente povero di novità e intuizioni inedite.
Non è più però il momento di confondere, come già avvenuto negli ultimi 40 anni, la fiction con la realtà, proponendo soluzioni di comodo e poco riscontrabili, senza mettere uno stop al frullatore impazzito di ipotesi e scenari romanzeschi. Le operazioni di facciata, con la loro bella cinematografia e il montaggio accattivante, possono essere relegate alla dimensione artistica in cui meritano di stare. Non servono più semplificazioni, come quelle di “Vatican Girl”, ma verità esaustive, per quanto complesse possano risultare.