Cos’è il degiovanimento e perché bisogna fermarlo
07 Agosto 2023
Il sostantivo degiovanimento è un neologismo introdotto e studiato da Alessandro Rosina, ricercatore della Cattolica di Milano. Indica, se stiamo alla Treccani, la perdita del bene prezioso della gioventù. L’Italia non è solo un Paese per vecchi, la nazione con i tassi di natalità tra i più bassi in Europa, è anche un Paese che rischia di fermarsi. Perché mancando i giovani viene meno anche quella volontà di cambiamento e di crescita che può essere assicurata dalle nuove generazioni.
Lo conferma un dato circolato nei giorni scorsi: le prime delle scuole elementari chiudono. 5600 classi in meno nella scuola primaria statale negli ultimi cinque anni (da 129.354 nel 2018 a 123.755 nel 2023). Nel giro di un anno, dal 2022 al 2023, circa cinquemila bambini in meno iscritti alla prima elementare statale (da 428.055 a 422.475). Negli ultimi cinque anni, gli alunni persi nella scuola elementare statale sono stati 237.592. Tra dieci anni, secondo il Ministero della istruzione, l’Italia potrebbe avere una riduzione di circa un milione di studenti.
Rosina torna ad affrontare questi temi sul Sole 24 Ore di oggi. L’Italia è in una trappola demografica che rischia di condannarla a una serie di problematici squilibri sociali ed economici. La trappola è frutto del combinato disposto tra bassa fecondità (1,2 il valore più recente rispetto alla media Ue dell’1,8), riduzione della popolazione che dovrebbe rimboccarsi le maniche, farsi un mutuo, lavorare e mettere su famiglia (il degiovanimento, appunto), cronica mancanza di politiche per favorire la natalità. Cosa serve per cercare di invertire il trend delle nascite?
Rosina scrive cose chiare che conosciamo bene, ma che negli ultimi 20 anni in Italia nessuno si è preso la briga di approfondire per farne vere politiche demografiche: servono congedi parentali, di maternità e paternità, servizi per l’infanzia in grado di assicurare il work-life balance, contributi e aiuti economici alle famiglie. L’obiettivo deve essere ambizioso, scrive il ricercatore, riportare le nascite sopra i 500mila nuovi nati all’anno, stabilizzando le fasce di popolazione in grado di procreare, e non aver paura del contributo che può dare l’immigrazione.
“È importante precisare che investimento sulla qualità e riduzione degli squilibri quantitativi fanno parte di uno stesso scenario di convergenza verso lo scenario alto (ipotizzato da Istat, ndr),” aggiunge Rosina. “Da un lato minori squilibri rendono disponibili maggiori risorse da investire sulla qualità (formazione, lavoro, ricerca e sviluppo), d’altro lato una migliore occupazione di giovani e donne – in combinazione con politiche che rafforzano autonomia e conciliazione tra lavoro e famiglie – favorisce l’aumento di nuovi nuclei e nascite”. Che aspettiamo?