
Da Nixon a Trump, lo scontro tra politica e università in America

27 Maggio 2025
di Ilaria Rizzo
È scontro frontale tra l’amministrazione Trump e Harvard, mentre i giudici bloccano la controversa (e tutto sommato autolesionistica, considerando i leader globali sfornati dai campus americani) decisione dell’amministrazione Trump di bloccare il reclutamento degli studenti stranieri, mettendo in discussione il futuro legale di oltre 6.800 iscritti e innescando una battaglia legale che potrebbe ridefinire i rapporti tra istituzioni accademiche e potere federale in America.
Il provvedimento, comunicato il 22 maggio dal Dipartimento per la Sicurezza Interna, impone a Harvard di espellere gli studenti internazionali o rischiare di perdere la possibilità di operare programmi accademici rivolti a chi proviene dall’estero. L’università, dove il 27% degli iscritti non è cittadino statunitense, ha subito reagito, definendo la misura «illegittima» e «devastante». Nel giro di 24 ore, l’ateneo ha depositato una causa presso la corte federale di Boston, accusando l’esecutivo di violazione costituzionale.
L’America non è nuova ai conflitti tra università e Casa Bianca, con episodi storici cruenti, come la sparatoria alla Kent State, quando la Guardia Nazionale sparò sugli studenti, durante le fortissime contestazioni contro il presidente Nixon nel corso della Guerra in Vietnam. Il dissenso nelle università statunitensi è esploso anche in anni più recenti, da BLM ai “social justice warriors”, alla “cancel culture”, movimenti finiti a loro volta sotto accusa per l’atteggiamento ideologico e censorio. Insomma, lo scontro fra Trump e Harvard non è il primo caso di conflitto di poteri.
Lo scorso anno, Harvard si rifiutò di fornire informazioni dettagliate sugli studenti stranieri richieste dal governo, in un clima segnato da una campagna nazionale contro l’antisemitismo. Trump aveva chiesto all’ateneo di adeguare le proprie politiche di ammissione, assunzione e gestione disciplinare, anche alla luce delle proteste pro-Palestina esplose nei campus, durante le quali si sono verificati episodi di intimidazione verso studenti ebrei. Le pressioni culminarono nelle dimissioni della presidente Claudine Gay. A seguito del rifiuto dell’università, Washington ha minacciato di bloccare circa 2,2 miliardi di dollari in sovvenzioni pluriennali e 60 milioni in contratti federali, costringendo Harvard a ridimensionare o sospendere diverse attività accademiche.
Il Dipartimento per la Sicurezza Interna ha rincarato la dose, accusando Harvard di «aver creato un ambiente universitario non sicuro» e di aver consentito a «agitatori antiamericani e filo-terroristi» di operare indisturbati nei campus. Una tesi che, secondo il governo, giustificherebbe la stretta sui visti. Kristi Noem, segretaria per la Sicurezza Interna, ha dichiarato che misure analoghe potrebbero presto colpire anche altri membri della Ivy League – come Yale, Columbia e Princeton – se non si adegueranno agli standard richiesti dal governo. Per riottenere la possibilità di accogliere studenti stranieri, l’università dovrebbe consegnare registrazioni audio e video che documentino eventuali attività “pericolose o illegali” compiute da studenti internazionali negli ultimi cinque anni. Una richiesta che Harvard, al momento, sembra intenzionata a respingere. Tutto questo, in un contesto generale caratterizzato da eventi sempre più gravi, come l’odioso omicidio di due giovani addetti della ambasciata israeliana, al grido di “Palestina libera”.
La battaglia legale tra Harvard e la Casa Bianca non riguarda solo il destino di migliaia di studenti internazionali, ma tocca anche il delicato equilibrio tra autonomia accademica e controllo politico. In gioco c’è molto più di un visto: l’identità stessa del sistema universitario statunitense e il rispetto del primo emendamento della costituzione americana. Se non fosse che, proprio ad Harvard, oltre 130 docenti hanno firmato un documento denunciando l’atteggiamento minaccioso e prevaricante degli studenti su qualsiasi tema che superi i confini del wokeism e del politicamente corretto. Sullo sfondo, l’impressione che la mossa della amministrazione americana sia legata anche alle tensioni, di cui si parla meno, con il colosso cinese.
Anche l’elite di Pechino studia nella grandi università americane. Nei giorni scorsi, il governo cinese ci ha tenuto a criticare la Casa Bianca, dicendo che l’America sta perdendo la sua credibilità. Detto da chi spazzo’ via gli studenti con i carri armati a Tienanmen, fa un certo effetto.