Pensioni, alle donne madri spetta un trattamento diverso
10 Marzo 2009
Non ci sono più attenuanti: mettere mano al sistema previdenziale italiano è un atto dovuto e, soprattutto, una questione di buon senso. Bruxelles è stata chiara, la spesa per le pensioni in Italia è tra le più alte dell’UE e la causa è un sistema inadeguato ad un modello di vita sociale e lavorativa molto diverso rispetto a 20 anni fa.
Eppure, il tema è sempre stato tra i più scottanti, perché è impresa ardua avviare una seria ed equa riforma che tocca una sfera così complessa e al tempo stesso tanto delicata come quella dell’anzianità e dei diritti maturati dai lavoratori e per tipologie di lavoro diverse.
Certo è che l’equiparazione tra uomini e donne suggerita dall’Ecofin, ha motivazioni condivisibili, ma non può non tenere conto di alcuni aspetti propri del nostro paese, della nostra organizzazione sociale e delle nostra cultura. La quantità e la qualità dei servizi alle donne e alle famiglie, non hanno avuto una evoluzione proporzionale ai cambiamenti socio culturali che si sono determinati nei corso degli ultimi decenni. Se il numero delle donne nel mondo del lavoro è cresciuto, non si può dire che sia diminuito il loro impegno in famiglia: figli e anziani sono, per la maggior parte dei casi, affidati alla cura delle donne, bravissime nel riuscire a conciliare una infinità di impegni, ma in ogni caso penalizzate da questa molteplicità di ruoli concomitanti.
Le pari opportunità sono spesso buone intenzioni, raramente realizzate con risultati soddisfacenti, perché, prima che un fatto organizzativo, devono essere un concetto culturale, che presuppone l’abbandono di un cliché che attribuisce ruoli su valutazioni di genere, fermo restando quello della maternità.
Questo è un momento fondamentale non solo per la vita della donna ma per l’intera società, ma è stato penalizzato perché considerato penalizzante, e rischia di esserlo ancora. Occorrono investimenti e una efficace politica di riorganizzazione dei servizi sia nel pubblico che nel privato per superare questa che, a tutti gli effetti, deve essere ritenuta un’anomalia del nostro sistema.
Ci sono aziende che hanno già intrapreso un percorso di adeguamento alle specifiche esigenze delle madri e delle donne in genere, attraverso misure rivolte non solo al mondo femminile, ma anche agli uomini, con i congedi parentali per i neo papà o con attività più generali destinate a promuovere le pari opportunità e a rimuovere gli ostacoli che impediscono il raggiungimento di tale condizione. Oltre che politico, sono anche imprenditore e nella mia azienda ho avviato questo processo.
Ma i cambiamenti culturali richiedono tempi di maturazione che non sono immediati ed è per questo che la politica deve prendere atto di una realtà a volte diversa dai principi su cui si fonda: sulle pari opportunità si sta lavorando, ma non sono ancora un presupposto affermato e diffuso.
Ecco il perché della proposta che ho avanzato con l’on Giancarlo Mazzuca per la riduzione di un anno di lavoro alle donne, in relazione ad ogni figlio che hanno avuto. In sostanza, le donne madri andranno in pensione prima, perché è giusto dare atto alla donna del suo impegno nella duplice gestione della vita lavorativa e di quella familiare.
Credo sia un riconoscimento doveroso come, d’altra parte, è doverosa l’azione di adeguamento previdenziale. Ritengo inoltre indispensabile investire i soldi risparmiati da questa modifiche, su misure e servizi a favore delle donne.
E’ importante, quindi, ragionare su questa proposta che si basa su una valutazione oggettiva della condizione femminile, ma sono inammissibili le rigidità che ancora si riscontrano da parte di alcune sigle sindacali: con la politica dei “no” i sindacati legati alle posizioni più oltranziste hanno determinato le peggiori storture del mondo del lavoro, di cui il nostro paese paga pesantemente i danni.
* Francesco Casoli è un senatore (PdL) e imprenditore italiano