Il bipolarismo non impedisce scelte bipartisan

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Il bipolarismo non impedisce scelte bipartisan

20 Settembre 2007

È vero, come si sostiene nell’articolo “La sinistra gioca a fare la destra” siglato A.P., il programma di Veltroni, e le scelte strategiche che sono in esso enunciate, ricalca in parte gli orientamenti della destra su quattro aspetti di fondo: fisco e spesa pubblica, liberalizzazione dei mercati, ordine pubblico, riforme istituzionali. Si tratta di un fatto indubbiamente positivo. Una parte della sinistra non solo ha assunto un orientamento decisamente riformista, ma sembra finalmente intenzionata a fare i conti con la realtà. Ha preso atto, si spera una volta per tutte, che per rispondere alle sfide del nostro tempo l’armamentario ideologico, non diciamo ovviamente del comunismo bolscevico o del terzomondismo piagnone, ma anche della socialdemocrazia classica non offre risposte adeguate e che occorre volgersi in tutt’altra direzione.

È vero anche che un allineamento programmatico fra le varie forze politiche è comune a molte altre democrazie europee, e non solo europee. Una tendenza che si può descrivere nei termini seguenti: le società democratiche complesse, le cui economie sono strettamente interconnesse tendono, sul piano dei programmi politici, a sviluppare delle dinamiche centripete. Si tratta di una ulteriore riprova che l’Italia non è una nazione speciale, caratterizzata da una singolarità politica del tutto originale. Bensì una democrazia matura in cui si pongono, sia pure con caratteri specifici, gli stessi problemi che si riscontrano in altri paesi.

Secondo A.P., però, la possibile convergenza contrasterebbe con l’assetto bipolare del sistema politico nostrano. Esso sarebbe caratterizzato, infatti, da “un formato politico rigido, costruito in un’epoca ormai remota (1992-93) dominata da altri motivi tematici”, ovvero contraddistinto dalla “gabbia del sistema bipolare e maggioritario”. Questo assetto neutralizzerebbe le ispirazioni convergenti fra i due schieramenti, impedendo una sinergia positiva.

Qui non mi sento di convenire con l’autore dell’articolo e debbo esprimere più di una perplessità. Anzitutto per dei motivi cronologici e fattuali. Il sistema politico italiano ha cominciato a orientarsi sull’asse destra/sinistra solo a partire dalle elezioni del 1994. Negli anni immediatamente precedenti c’è stata, invece, la dissoluzione della prima repubblica avvenuta in una maniera poteva portare anche a esiti non democratici. In tale riassetto del sistema un ruolo fondamentale è stato svolto da Berlusconi. In quella fase, infatti, l’imprenditore milanese ha imposto un modello di premiership che è stato poi mutuato anche dal centro-sinistra. Questo è stato una importante convergenza di fatto che non è stata sufficientemente rimarcata. Inoltre, l’assetto bipolare del sistema politico non è una gabbia che si è sovrapposta a una società necessariamente dispersa in molti orientamenti politici, ma è un assetto rispondente allo sviluppo sociale ed economico dell’Italia, ma che non si era mai potuto realizzare per i condizionamenti imposti dalla guerra fredda. Non a caso tale rinnovata configurazione del sistema politico è stata a lungo osteggiata dal vecchio establishment centrista abituato a quello che possiamo definire “il partito unico di governo”. Chiarite queste premesse si può intendere, ma anche largamente ridimensionare, quello che è forse l’argomento più forte che A.P. porta a favore della sua tesi: il fatto che nei due schieramenti svolgono un ruolo condizionante, che va ben oltre la loro consistenza effettiva, le forze estremiste (i massimalisti a sinistra e la lega a destra), che condizionano in modo distruttivo il confronto politico. Questa prevalenza non è il frutto obbligato di un assetto bipolare, ma è la conseguenza di una mancata riforma.

In altri termini, non bisogna mai dimenticare che la riconfigurazione del sistema politico è avvenuta in modo empirico e non è mai stata formalizzata da una compiuta riscrittura di quelle parti della costituzione che risultano ormai obsolete (forma di governo, bicameralismo perfetto). Ancora più significativo è il fatto che i partitini centristi e quelli estremisti abbiano sempre osteggiato questa necessaria formalizzazione. Quindi le tendenze distruttive non sono una realtà incontrastabile, ma in larga parte una superfetazione dovuta alla contingenza storica. Un fenomeno che si può tranquillamente contrastare con una convergenza fra le forze politiche maggiori per un riordino istituzionale che sancisca la fine della lunga transizione italiana.

D’altronde, e restiamo agli esempi fatti da A.P., la convergenza centripeta sui programmi non significa rinnegare la competizione fra due schieramenti per la guida del paese né in Inghilterra, né in Francia e nemmeno in Germania, dove la grande coalizione è l’eccezione e non la regola di funzionamento del sistema.