A Trento il problema non è la moschea ma il multiculturalismo

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A Trento il problema non è la moschea ma il multiculturalismo

01 Aprile 2008

Hanno fatto rumore in questi giorni diversi lanci d’agenzia e commenti
(perlopiù critici, ovviamente) relativi alla decisione dell’Arcivescovo di
Trento, Monsignor Luigi Bressan, di fermare la raccolta fondi utile ad
incrementare i finanziamenti che l’imam locale, tale Aboulkheir Breigheche, sta
raccogliendo per la costruzione di una nuova moschea, essendo l’attuale ormai
troppo angusta per i numerosi seguaci  locali del profeta Muhammad. Lo stop imposto
dalla curia fa notizia perché la colletta era stata promossa dalla comunità di
base di S. Francesco Saverio, guidata dal padre cappuccino Giorgio Butterini, durante
la confessione comunitaria del mercoledì santo. Il solerte cappuccino aveva
suggerito di devolvere le offerte per la costruzione della moschea “come segno
di penitenza dei nostri peccati”.

Non male come proposito. Per restare su temi d’attualità, è come se un
parlamentare semisconosciuto del PdL in contrasto con alcune posizioni di
Berlusconi, suggerisse ai suoi elettori di finanziare la campagna elettorale
del PD e distribuisse manifesti di Veltroni. In realtà la comunità di
S.Francesco Saverio non è nuova a queste “imprese”. Già un anno fa aveva fatto
discutere un loro appello a favore delle coppie di fatto e dei Dico: “È giusto che lo Stato approvi una legge per
chi la pensa in modo diverso da noi e sceglie nuove forme di vita insieme”
.
Quanta tristezza nel dover constatare la confusione, forse solo figlia di un
eccessivo protagonismo, che alberga in tanti pastori di questa nostra Chiesa
che dovrebbe esserci “mater et magistra”!
Lo stesso disordine di idee che è evidentemente presente in quest’altra
dichiarazione: “Nelle ore della
consacrazione di Chiara Lubich, questo divieto ci dice che il Trentino non è un
focolare. È giusto che ci sia ancora qualche cristiano che mostra un Trentino
diverso. Il fatto di aver legato l’iniziativa alla confessione pasquale dà alla
confessione il significato di una penitenza per i propri peccati, ma anche per
i peccati della società”.

A parte il fatto che trovo davvero inopportuna ed eccessiva questa
auto-flagellazione, credo sia soprattutto il caso di rimettere un po’ le idee nel
giusto ordine. Inizierei citando Giovanni Paolo II, che proprio alla trentina Chiara
Lubich, in occasione del 60° anniversario del suo movimento (2003), scrisse: “In questi sessant’anni, quanti mutamenti
sociali rapidi e sconvolgenti hanno segnato la vita del mondo! L’umanità è
diventata sempre più interdipendente e, perseguendo interessi passeggeri, ha
talora smarrito i propri valori di riferimento ideale. Ed ora rischia di
ritrovarsi quasi “senz’anima”, senza cioè il fondamentale principio
unificatore di ogni suo progetto ed attività. (…) All’inizio di un nuovo
millennio s’impone con urgenza il dovere di un rinnovato impegno da parte dei
credenti per rispondere alle sfide della nuova evangelizzazione. In
quest’ottica, un ruolo importante è affidato ai Movimenti ecclesiali, tra i
quali occupa un posto di rilievo quello dei Focolari. (…)Incoraggio tutti a
seguire fedelmente Cristo e ad abbracciare con Lui il mistero della Croce per
cooperare, con il dono della propria esistenza, alla salvezza del mondo”.

Mi pare evidente anche per il più temerario dei cappuccini quanto sia
esclusivamente Cristocentrica la missione, la “nuova evangelizzazione”, che il
Santo Padre chiede ad ogni uomo di buona volontà. Guidati dall’esempio di
Cristo, vero Dio e vero uomo, e fedeli all’autorità della Chiesa dobbiamo
renderci preziosi testimoni della nostra fede (…e non di quella altrui!) affinché
il nostro vecchio continente non smarrisca del tutto quella bussola che per
oltre duemila anni lo ha guidato attraverso le più difficili prove e gli ha
permesso di essere la culla dell’arte, della civiltà, dell’assistenza per i
poveri, del libero mercato, della emancipazione della figura femminile,  del libero pensiero e della libertà
religiosa.

Una libertà religiosa che però non significa depauperare il nostro
bagaglio per rendere più lieve quello altrui. La nostra deve essere una proposta
effettuata integralmente, alla quale uno può essere libero di aderire o meno,
ma assolutamente non smagrita per essere resa più appetibile. Dialogare quindi
con le altre religioni, sempre e comunque. Ma senza metterle sullo stesso piano
ove queste evidentemente non lo siano, e senza la paura di far notare (come
fece il Papa a Ratisbona con l’Islam) i deficit più evidenti di proposte di
fede alternative al cristianesimo che oggi sono tanto in voga, a causa di un
irenismo subdolo e autolesionista.

Don Luigi Giussani disse in un’intervista del 1997: “La vita appare ormai definita da un
volontarismo etico, essendo la carità ridotta a generosità o volontariato come
azione suppletiva a quella del potere. Tutto questo ha come origine una fede
ridotta a spiritualismo, ad un soggettivo moto interiore. (…) Anche tra i
cristiani si è fatto strada il pensiero che una forte sottolineatura dell’etica
fosse sufficiente a vivere nella giustizia e nella verità. Non è così, perché
si finisce solo con l’avvalorare i principi via via definiti come morali dal
potere in una determinata epoca. (…) Un uomo può lanciarsi nell’avventura di
fare il bene solo se riconosce ed aderisce a un Vero!”.

Ecco nuovamente il punto cruciale: il mancato riconoscimento del Vero,
di Cristo “via, verità e vita”, come orientamento per ogni situazione; lo svuotamento
del fatto cristiano: Gesù ridotto a un “flatus
voci”.
Ne abbiamo avuto prova anche nei giorni antecedenti la Santa Pasqua,
quando sono andate in onda alcune stucchevoli trasmissioni dedite ad appurare
se Gesù Cristo fosse veramente risorto, ed alle quali hanno fatto seguito le
opinioni di intellettuali e teologi pronti a versare fiumi di inchiostro per
riempire pagine di giornali dal grande formato, quando invece basterebbero
davvero pochi elementi per spiegare un fatto simile. Innanzitutto, capire che
si tratta di un atto di fede. E perciò non sviscerabile ed analizzabile quanto
la struttura del protone.

Nonostante ciò, da Sant’Agostino fino a Ratzinger, possiamo contare su
numerosi esempi dottrinali che evidenziano come la sequela di Cristo sia
opzione vincente proprio perché mette quanto più possibile a braccetto fede e
ragione.  Non quindi un semplice cieco
atto di fede, ma un credo supportato da concreti fatti storici. Ecco che quindi
a supporto della nostra “tesi” abbiamo diversi testi sacri le cui narrazioni
collimano (comprendendo anche evidenti riferimenti storici) sulla narrazione di
alcuni precisi fatti, sia relativi alla resurrezione sia alle successive
apparizioni del Signore.

Abbiamo un manipolo di discepoli che da imboscati paurosi di eventuali
rappresaglie che avrebbero potuto subire dopo la crocifissione del loro
“leader”, dopo la scoperta del sepolcro vuoto e la visione di Gesù risorto
divengono tutti testimoni viventi dell’annuncio pasquale, e tutti (eccetto
Giovanni) si faranno ammazzare per questa causa (perciò difficile da immaginare
perdente se non così vera da darne la vita). Abbiamo un concilio che nel 325 ci
ha donato un “credo”, mai messo in discussione fino ad oggi, dove si afferma
che “il terzo giorno è resuscitato
secondo le scritture ed è salito al cielo”.
Ma sopra ogni cosa abbiamo la
Sua parola, viva e presente più che mai: “Ecco,
io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20)
, una promessa che nel corso dei secoli non ha mai
smesso di essere mantenuta attraverso l’opera di numerosi Santi e Martiri della
fede.

Dovremmo espellere gioia ed energia positiva da ogni poro della nostra
pelle, per una simile grazia! Ed invece siamo i maestri del masochismo, perenni insoddisfatti,
sfiduciati, pronti a giudicare tutto e tutti per trovare la celeberrima
pagliuzza e tirarci la zappa sui piedi. Prendiamo ad esempio il rito
battesimale celebrato nella notte di Pasqua. Un rito che si celebra da sempre,
non solo in San Pietro ma in ogni parrocchia, e che è portatore di una bellezza
straordinaria. Nulla è più vano: col battesimo entriamo a far parte della
schiera dei pretendenti ad un posto vicino a Lui per l’eternità. Con l’unzione
dello Spirito diveniamo figli del Padre e fratelli minori del Figlio. 

Disse nel 2006 Benedetto XVI: “Il
Battesimo è un grande dono, il dono della vita. Ma un dono deve essere accolto,
deve essere vissuto. Un dono di amicizia implica un “sì” all’amico e implica un
“no” a quanto non è compatibile con questa amicizia, a quanto è incompatibile
con la vita della famiglia di Dio, con la vita vera in Cristo. (…) E anche al
giorno d’oggi è necessario dire “no” alla cultura della morte, una
“anticultura” che si manifesta nella droga come fuga dal reale per l’illusorio,
in una falsa felicità ottenuta attraverso la menzogna, nel disprezzo
dell’altro, del povero, del sofferente; nella sessualità che diviene puro
divertimento senza responsabilità e “cosificazione” dell%E2