Alitalia, ma il protezionismo su Malpensa a cosa serve?

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Alitalia, ma il protezionismo su Malpensa a cosa serve?

01 Aprile 2008

L’Italia soffre di un male
interiore. Soffre di estremo vittimismo, un sentimento che si è fatto strada
come un cancro nelle menti dei suoi cittadini. Arrivando anche alla classe
dirigente del paese, il vittimismo sta mettendo in ginocchio anche il nostro sistema
economico.

Il caso Alitalia ed il
neo-protezionismo paventato dall’ultimo libro di Giulio Tremonti, La paura e
la speranza
, sembrano distanti anni luce, ma in comune hanno il sentimento
di cui sopra. Si pensi alla compagnia aerea nazionale. Un tempo, nemmeno troppo
remoto, era all’eccellenza della tecnica e del valore aggiunto di un’azione
quasi quotidiana come un volo in aeroplano. La nostra livrea era simbolo di
qualità, di cortesia e di affidabilità. In meno di 15 anni e dopo 15 miliardi
di euro bruciati come fossero bruscolini, dopo gestioni economiche scellerate,
dopo innumerevoli querelle sull’Italianità, siamo arrivati alla stretta
finale (forse…), dimenticando una delle regole principali dell’economia, quella
del rapporto costi-ricavi.

Sembra incredibile che fior fiore di manager,
impegnati con i più complicati indicatori di bilancio, si siano dimenticati, in
tutti questi anni, quello più semplice. Se i costi sono superiori ai ricavi,
l’impresa non può continuare sulla strada intrapresa. Un esempio per tutti, gli
stipendi del top management. Di pochi giorni fa la notizia che Ryanair, il
principale vettore low cost, ha congelato tutti gli emolumenti dei suoi
amministratori, dal Ceo in giù, per far fronte ad un aumento dei costi che
rischiava di essere dannoso per il futuro della compagnia.

Lo stesso Jean-Cyril
Spinetta, numero uno di Air France-Klm, guadagnava circa sei volte meno di
Giancarlo Cimoli, ex presidente di Alitalia. In quest’ottica, puramente
gestionale, si possono capire alcuni motivi per cui l’unica soluzione possibile
per la società della Magliana sia quella di passare attraverso i faldoni del
Tribunale Fallimentare. Anche perché i termini si stanno avvicinando
notevolmente. Nonostante le smentite da parte di alcuni esponenti del Governo
Prodi, la liquidità di cassa di Alitalia non può durare in eterno, ma nemmeno
per il 2008. 180 milioni di euro, questa è verosimilmente la cifra relativa al cash
flow
, utile solo per sopravvivere fino a giugno.

Ma ora entrano in gioco
l’Italianità ed il vittimismo relativo. Come? Semplice. Nel nostro paese sono i
sentimenti, il cuore, a farla da padrona contro la razionalità dei dati di
bilancio. Si pensi al caso Pan American World Airlines, un tempo la più grande
compagnia aerea esistente. Il suo fallimento è stato decretato l’8 gennaio
1991, dopo oltre 50 anni di storia dell’aviazione e decenni di cattiva gestione
aziendale. Dalle sue ceneri si è rafforzata Delta Airlines, Casualmente, Pan Am
ha avuto gli stessi problemi di Alitalia: troppa eterogeneità dei velivoli,
scarsa lungimiranza nei confronti del mercato, sprechi interni, costi maggiori
ai ricavi. Il governo americano in quel caso decise di non intervenire ed il
risultato è che il mercato aereo statunitense gode di buona salute, i costi per
singolo biglietto a carico del consumatore si sono abbassati e la competitività
è cresciuta.

Ma in Italia no, preferiamo guardare sempre agli interessi
particolari, come Malpensa, piuttosto che ragionare a mente lucida. Il
protezionismo portato avanti nei confronti di Alitalia e dell’hub lombardo non
sta facendo altro che allungare i tempi di un’operazione che doveva essere
compiuta almeno un decennio fa. Il mercato gioca attraverso le sue regole e se
il vento gira contro di noi, non dobbiamo chiederci come reagire, bensì il
motivo di questo salto di vento. In Italia invece no, non stiamo a chiederci
come mai Alitalia è giunta a questo punto e cosa fare ora, ma ci curiamo solo
che resti italiana a tutti i costi.

L’Italia è un paese di
eccellenze, le quali vengono riconosciute tali quando sono gli altri a dircelo.
Proteggere il mercato interno, senza saper riconoscere quali sono i nostri
punti di forza significa solamente sprecare tempo. E qui entra in gioco il
vittimismo, quello che ci fa vedere tutto nero non appena sentiamo una voce che
parla del nostro paese. Più semplici che cercare sempre nuove argomentazioni,
le scuse che riusciamo a trovare sono molteplici. Forse Tremonti, probabilmente
il massimo esperto del sistema fiscale italiano, si dimentica di tutti i casi
di eccellenza aziendale che negli ultimi anni si sono fatti conoscere ed hanno
cominciato a colonizzare la Cina, come la Geox di Mario Moretti Polegato. O
come tutto il vantaggio competitivo dettato dalla qualità della nostra
produzione. Si pensi anche solo al caso automobilistico: sul mercato italiano
sono presenti sia autovetture cinesi che automobili italiane e tedesche. Il
consumatore sa riconoscere la qualità superiore di un prodotto europeo e snobba
a piè pari quello di Pechino. Osservando le vendite di Great Wall e Gonow (due
grossi marchi cinesi di auto), è lapalissiano che non v’è storia competitiva
fra noi e loro.

Alitalia è vittima del vittimismo, degli interessi particolari, del
neo-protezionismo che esclude a priori l’uscita della compagnia da Malpensa.
Solo una riflessione su quest’ultimo punto: se Malpensa è così fondamentale,
strategica, valorizzabile ed economicamente importante, di cosa ci stiamo
preoccupando?