Autonomia e premierato, Quagliariello fa il punto sulle riforme
29 Luglio 2024
Gaetano Quagliariello, presidente della Fondazione Magna Carta e direttore della School of Government della Luiss, fa il punto sulle riforme costituzionali in una intervista al quotidiano La Verità. L’autonomia differenziata al momento è uno dei temi più discussi, con la raccolta firme per il referendum lanciata con l’intento di evitare una spaccatura del Paese. Quagliariello afferma che, sebbene l’idea di non dividere l’Italia sia condivisibile, è fondamentale affrontare la questione attraverso la politica prima di percorrere la strada del referendum. Il presidente di Fmc sottolinea che, nonostante l’autonomia differenziata non sia intrinsecamente negativa per il Sud, vi sono prospettive della riforma che potrebbero risultare sbagliate e anacronistiche.
“Il primo aspetto è proprio l’elenco delle materie sulle quali può essere richiesta maggiore autonomia. Alcune, francamente, fanno sorridere: l’energia, le grandi reti di distribuzione sono temi per i quali a stento è significativo il contesto continentale. Figuriamoci se si può trattarli a livello regionale! Manca, poi, un limite al numero di materie per le quali può essere richiesta maggiore autonomia. Se vi fosse, ogni Regione sarebbe spinta a evidenziare le proprie peculiarità. Si avrebbe così un autonomismo realmente differenziato e, al contempo, solidale. Poter richiedere l’autonomia su tutte le materie, trasforma la legge in una scorciatoia per creare autonomie speciali, oltre a quelle stabilite dalla Costituzione”. Quagliariello, dunque, critica l’attuale proposta di autonomia su tutte le materie, considerandola una scorciatoia che potrebbe creare autonomie speciali, contrarie allo spirito della Costituzione, suggerendo l’introduzione di una norma di “supremazia nazionale” per permettere allo Stato di intervenire in materie di interesse nazionale, soprattutto in situazioni di emergenza, una pratica già presente in altri paesi come la Germania.
Il dibattito sull’autonomia differenziata, in ogni caso, deve avvenire prima dell’indizione dell’eventuale referendum, per migliorare il testo e chiarire le posizioni dell’opposizione. Non tutte le forze della maggioranza però sembrano convinte che lo scontro debba essere evitato; la Lega, che da forza nordista si sta trasformando in un partito di estrema destra, appare un potenziale beneficiario di un tale scontro referendario. Un altro tema caldo è il premierato, con il Partito Democratico che vede la riforma come un possibile strumento per dare la spallata al governo. Così, il dialogo è bloccato e il Paese continua ad attendere una riforma per “sciogliere il nodo dei poteri dell’esecutivo, che i Padri costituenti hanno lasciato in eredità alle generazioni successive.”
E ancora: “Quel che c’è di nuovo è che le proposte che potrebbero correggere positivamente la riforma sono iscritte nella storia della sinistra. Uomini come Cesare Salvi, Michele Salvati o Enrico Morando, chiedendo alla propria parte di riaprire il dialogo, testimoniano di una storia che altri, invece, vogliono cancellare. Il presidente della Corte costituzionale Augusto Barbera è andato persino oltre, affermando che la forma di governo non solo ‘può’ essere corretta ma ‘deve’ essere corretta: altro che deriva plebiscitaria!”. Secondo l’ex ministro delle riforme, il premierato da importare è “quello inglese. Esso, però, ha alle spalle una tradizione ultrasecolare fondata sull’esistenza di due partiti che si sono reciprocamente legittimati. Laddove non esiste questa storica convenzione, essa è difficile da creare attraverso l’ingegneria costituzionale. L’Italia è andata vicino al ‘premierato realizzato’ quando, a cavallo tra i due secoli, il bipolarismo era quasi perfetto e il nome del premier veniva indicato da entrambe le coalizioni. Se ci fosse intesa, si potrebbe formalizzare, a livello costituzionale, ciò che la storia ha già sperimentato attraverso i fatti. Il momento sarebbe favorevole, perché dopo una parentesi di quasi dieci anni, il quadro politico si è nuovamente bipolarizzato.”
Quagliariello si sofferma anche sul ruolo di Forza Italia, il partito fondato da Silvio Berlusconi che emerge come un attore importante nell’attrarre l’elettorato moderato. Questo ruolo appare essenziale per qualsiasi coalizione che aspira a vincere le prossime elezioni. Quagliariello riconosce la resilienza di FI e la sua capacità di adattarsi, suggerendo che potrebbe giocare un ruolo chiave nel “centro politico” italiano. Tuttavia, mette in guardia sul fatto che ‘resistere’ non basta: il partito deve trovare nuove modalità per tenere agganciato l’elettorato centrista alla coalizione governativa, pena il rischio di non riuscire a vincere le prossime elezioni.
“FI ha dimostrato una resilienza e una capacità di trovare un suo ubi consistam non scontati e non facili da pronosticare dopo la morte di Berlusconi. Proprio questi successi le consentono, se lo vorrà, di avere un ruolo da protagonista nella partita che concerne il ‘centro politico’, apertasi dopo l’insuccesso di quelli che lo avrebbero voluto come Terzo polo autonomo. In un futuro assai prossimo risulteranno ancora più evidenti di oggi i tentativi di organizzare il centro di un nuovo centro-sinistra. Il ridimensionamento dei 5 Stelle consente, infatti, a un’area centrista di poter immaginare un proprio ruolo anche su quel versante politico. Ciò renderà meno scontata la partita elettorale. In tale scenario, su FI grava una responsabilità che va oltre la sua vicenda di partito. Non basta più ‘resistere’. Bisognerà immaginare le modalità per tener agganciato l’elettorato centrista alla coalizione governativa. Sennò, vincere le prossime elezioni non sarà scontato e, forse, neppure probabile. Per questo, servirebbe la graduale trasformazione del partito carismatico in un partito che, per altre vie, torni a essere la casa di tutti i moderati. Non sono un interprete né ufficiale né affidabile, ma le dichiarazioni di Marina e Piersilvio mi sono sembrate uno stimolo in tal senso.”
Passando ai temi di politica europea e politica estera, il no di Fratelli d’Italia alla conferma di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea ha suscitato critiche, con alcuni che vedono l’Italia destinata alla marginalità. Quagliariello, pur suggerendo che l’Italia avrebbe dovuto votare a favore, minimizza l’importanza di tale voto rispetto alle sfide future, soprattutto in ambito europeo e internazionale, in un contesto segnato dalla guerra russo-ucraina e dal conflitto israelo-palestinese. “A breve la vicenda europea proporrà altri tornanti, ben più impegnativi. Meloni ha fin qui svolto un ruolo di cerniera importante tra europeisti atlantisti e ambienti euroscettici. La premier ha avuto un ruolo rilevante in vicende quali la guerra russo-ucraina e quella tra Israele e Hamas. Ben oltre il voto sulla Von der Leyen, quel che andrà compreso, allora, è se nei prossimi mesi, con le elezioni americane sullo sfondo, ella sarà in grado di conservare questo ruolo cruciale.”
Con l’elezione di Donald Trump che appare sempre più probabile, Quagliariello afferma che l’Italia, pur essendo un alleato chiave degli Stati Uniti, dovrà affrontare nuove sfide, specialmente se Trump adotterà una politica estera isolazionista che potrebbe avvantaggiare la Russia di Putin e intensificare le tensioni commerciali globali. “Gli Stati Uniti sono il nostro principale alleato a prescindere dal nome del presidente. Bisogna estirpare quel vizio antico, radicato a sinistra, per il quale gli Usa assurgono a riferimento solo se il presidente è un liberale. I quattro anni della presidenza Trump, tra l’altro, non sono da condannare in toto: in politica estera, in particolare, il bilancio è stato migliore di quello del suo predecessore. Va detto, d’altro canto, che per un liberale conservatore attento alle tradizioni e alle istituzioni, quel che è accaduto a Capitol Hill e il ruolo che Trump vi ha avuto, è inaccettabile e va condannato senza se e senza ma. Un’eventuale nuova presidenza Trump porrà delle sfide inedite all’Europa: per la politica estera isolazionista che potrebbe favorire Vladimir Putin e per l’annunciata guerra commerciale. È rispetto a queste sfide che Meloni dovrà scegliere, evitando la sindrome del tennista che, non sapendo se giocare a rete o da fondo, resta a metà del campo, subendo l’inevitabile passante dell’avversario.”