Berlusconi e l’Iran: le ragioni della svolta italiana sulle sanzioni
03 Febbraio 2010
Le dichiarazione rilasciate dal premier italiano, Silvio Berlusconi, nel corso della sua visita in Israele potrebbero rappresentare un importante punto di svolta nell’annosa questione del nucleare iraniano. Invocando l’imposizione di “sanzioni efficaci” nei confronti del regime khomeinista, Berlusconi ha aperto la strada all’iniziativa americana ed europea per l’approvazione di nuovi e più stringenti provvedimenti nei confronti di Teheran in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, alla luce dei mancati progressi fatti registrare dai negoziati sul nucleare condotti dal “5+1”. Un’iniziativa dall’esito incerto per via della consueta ritenzione di Russia e Cina a stringere il cerchio attorno al partner iraniano, a cui sono legati da un matrimonio strategico di interessi in ambito militare, economico ed energetico.
Già in passato Mosca e Pechino avevano protetto la Repubblica islamica dalle pressione internazionale, facendo in modo che il carico delle sanzioni approvate dal Consiglio di Sicurezza fosse leggero e non in grado di mettere il regime khomeinista alle corde. Il rischio che anche la prossima riunione del Consiglio che dovrà discutere dell’argomento produca risultati simili alle precedenti resta alto, dal momento che gli sforzi diplomatici dell’amministrazione Obama volti a ottenere un aiuto concreto da parte di Russia e Cina non serviti allo scopo. Dal Cremlino sono giunte finora soltanto vaghe aperture all’eventualità di imporre nuove sanzioni, nonostante Berlusconi abbia dato la sua personale rassicurazione sul parere favorevole di Putin, mentre il governo cinese ha già espresso in maniera netta la sua contrarietà e difficilmente cambierà orientamento.
In caso di mancato accordo all’interno del Consiglio di Sicurezza, si profila la costituzione di una coalition of the willings guidata dagli Stati Uniti che metta in campo un’offensiva di tipo economico nei confronti dell’Iran, al di fuori del quadro formale delle ingessate istituzioni multilaterali. In quest’ottica, le recenti affermazioni di Berlusconi mettono l’Italia in prima fila, facendo assumere al suo governo un ruolo di leadership in Europa rispetto alla cosiddetta trojka composta da Francia, Germania, e Gran Bretagna, in coordinamento con l’amministrazione americana.
La minaccia di adottare sanzioni nel settore energetico, paventata da Obama, non è bastata a indurre Teheran ad accogliere le offerte di dialogo e conciliazione giunte dalla Casa Bianca. Nondimeno, di fronte alla rigidità iraniana il presidente americano ha preferito assumere un basso profilo, non adottando le promesse misure sanzionatorie, da un lato per non spezzare il filo del dialogo stabilito con Teheran, a cui l’amministrazione Obama aveva appeso gran parte delle sue ambizioni in politica estera, dall’altro per portare avanti la difficile opera di convincimento di Mosca e Pechino ad allinearsi alla posizione degli Stati Uniti. La reale efficacia delle sanzioni energetiche dipende infatti dalla partecipazione russa e cinese. L’Iran è tra i principali produttori al mondo di gas e petrolio, ma ha scarse capacità di raffinazione ed è costretto a reimportare gli idrocarburi esportati sotto forma di carburante. Protagonisti di questo scambio con la Repubblica islamica sono principalmente Mosca e Pechino.
L’iniziativa di Berlusconi in Israele, pienamente supportata dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, sembra pertanto volta a rafforzare l’azione americana, in una redistribuzione dei ruoli che va oltre la mera complementarietà ed esprime una rinnovata sinergia tra Europa e Stati Uniti. Si tratta del ritorno a un alto grado di solidarietà transatlantica, messa a dura prova negli anni passati non solo dall’intervento americano in Iraq, ma anche dalle differenti percezioni della minaccia iraniana tra le due sponde dell’Atlantico. Ciò pare dovuto non tanto all’avvicendamento che ha portato Obama alla Casa Bianca, dopo le tensioni dell’era Bush, quanto piuttosto a una mutata percezione degli sconvolgimenti interni che stanno mettendo in pericolo la sopravvivenza della Repubblica islamica.
Il protrarsi della rivolta scoppiata in seguito alla contestata rielezione di Ahmadinejad alla presidenza, potrebbe infatti aver minato alle fondamenta la stabilità del regime khomeinista, al punto che oggi, a Washington come nelle maggiori capitali europee, non si ritiene più improbabile un cambiamento di regime in Iran. Quanto dichiarato da Berlusconi a Gerusalemme sarebbe pertanto rivelatore della direzione imboccata dagli eventi iraniani, ancor più perché il primo chiaro e inequivocabile appello a sostenere l’Onda Verde antiregime da parte di un leader occidentale è giunto dal governo di un paese che ha sempre tradizionalmente assunto una posizione intermedia nei rapporti con Teheran.
Nel quadro della diplomazia della “mano tesa” obamiana, il governo italiano aveva inizialmente messo a disposizione i suoi buoni uffici in qualità di trait d’union tra gli Stati Uniti e la Repubblica islamica. La Farnesina, in particolare, si è dimostrata molto attiva nell’offrire (invano) possibili terreni d’incontro attraverso la vetrina internazionale rappresentata dalla presidenza italiana del G8. Ed è solo per le intemperanze di Ahmadinejad che Frattini all’ultimo secondo ha dovuto annullare la sua visita in Iran. Alla cautela italiana sull’imposizione di nuove pesanti sanzioni, è andata poi ad aggiungersi una neutralità di fatto nei confronti della rivolta in Iran, volta a non pregiudicare i già compromessi tentativi di raggiungere un grand bargain con Teheran sulle varie questioni pendenti, Afghanistan incluso, come voluto da Obama.
ll rilancio di Berlusconi sul tema delle sanzioni e del sostegno all’opposizione interna in Iran, va così a determinare una svolta di grande rilievo nella politica estera italiana verso la Repubblica islamica. Una svolta che prende definitivamente le distanze dall’approccio di Prodi, Dini, D’Alema e Andreotti, ed era già contenuta nel precedente rifiuto di Berlusconi di incontrare Ahmadinejad in visita a Roma per il vertice della FAO. La presa di posizione del governo italiano è ancor più significativa perché effettuata nella consapevolezza delle sue ripercussioni sulle relazioni economiche con Teheran. Negli anni ’90, l’Italia è riuscita a vincere la corsa europea al mercato iraniano, superando la Germania come primo partner commerciale del regime khomeinista tra i paesi dell’UE. Il successo della camera di commercio italo-iraniana è la dimostrazione di quanto fiorenti siano gli interscambi e gli investimenti sull’asse Roma-Teheran. L’ENI è presente in Iran da oltre 50 anni e per l’approvvigionamento energetico nazionale fa molto affidamento sul gas e il petrolio iraniani. Ma le decisioni annunciate dal governo riguardanti il congelamento da parte dell’ENI dello sviluppo di un progetto già esistente, nonché la rimozione dell’assicurazione sugli investimenti in Iran garantita dall’agenzia SACE (controllata dal Tesoro), sono indice della volontà del governo italiano di ridefinire i rapporti con la Repubblica islamica, probabilmente in previsione degli auspicabili effetti travolgenti dell’Onda Verde iraniana.