Bersani cresce e spinge Minoli sulla poltrona di Rai Tre

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Bersani cresce e spinge Minoli sulla poltrona di Rai Tre

21 Settembre 2009

Questa, per Giovanni Minoli, potrebbe essere davvero la volta buona. I primi risultati arrivati nei giorni scorsi dai circoli del Pd certificano quello che un po’ tutti si aspettavano, e cioè che il prossimo segretario del partito sarà quasi certamente Pierluigi Bersani. Qualcosa di più di una facile previsione, visti i movimenti tellurici in atto da parte delle correnti, già proiettate sul dopo-primarie, e le voci insistenti di un gentlemen agreement stile Obama-Clinton con il probabile sconfitto, Dario Franceschini. Uno scenario che potrebbe anticipare il grande effetto domino previsto per novembre e accelerare le attesissime nomine a Rai Tre e al Tg3.

L’idea Minoli, suggestivamente affiancato da un possibile ritorno a Viale Mazzini di Enrico Mentana nella veste di direttore del telegiornale, era balenata mesi fa e rimbalzata a più riprese durante tutta l’estate, salvo tornare nel congelatore in attesa della riorganizzazione del partito di riferimento (orrori della lottizzazione), prevista per fine ottobre.

La mancata riconferma di Paolo Ruffini viene data per scontata: a lui il centrodestra imputa l’ideazione di una tv a tesi, orientata sempre nella stessa direzione sia quando parla il linguaggio dell’inchiesta (Report), sia quando fa approfondimento (Ballarò e Che tempo che fa), sia quando abbozza una satira da salotto (Parla con me). Un approccio vincente sul piano degli ascolti, ma non sempre apprezzato da tutti, neanche a sinistra. Massimo D’Alema, gran suggeritore di Bersani, si è affrettato ad esempio, prima ancora che fosse stata presa una decisione, a dare il benvenuto a Minoli, operoso sostenitore in tempi recenti di Romano Prodi e in tempi remoti di Bettino Craxi.

Minoli, curriculum lunghissimo ed età prossima alla pensione, è un eccellente uomo di prodotto, capace trent’anni fa di inventare con Mixer una formula vincente e copiatissima di magazine di approfondimento politico e di attualità e poi di riciclare le stesse idee, aggiungendone di nuove, e gli stessi ritmi serrati aprendo nuovi linguaggi all’inchiesta storica in televisione. Ma Minoli è anche un uomo di azienda, nel senso di affezione romantica a mamma Rai e anche nel senso di una tenace e dichiarata ambizione “politica” a poltrone dirigenziali e a ruoli di coordinamento, che intorno alla metà degli anni novanta ha già occupato a più riprese, anche se per breve tempo, in tutte e tre le reti principali. Un’ambizione che però negli ultimi dieci anni è stata sempre frustrata, trovando eco solo negli infiniti elenchi dei totonomine che lo hanno puntualmente incluso prima di ogni cambio della guardia a Viale Mazzini, salvo disilludere regolarmente il diretto interessato e coloro che ne auspicano da sempre un ritorno nella stanza dei bottoni.

Il suo nome è stato bruciato tante volte perché, accanto a un talento naturale a stringere sodalizi importanti, Minoli ha sviluppato una certa tendenza a farsi dei nemici. Un problema che questa volta potrebbe avvantaggiarlo, visto che uno di questi nemici è proprio Ruffini.

Negli anni Minoli è riuscito a “sporcargli” il palinsesto inserendo due soap italiane “da portineria” (secondo la definizione di Aldo Grasso), prima “Un posto al sole” e poi anche “Agrodolce”. Tra gli uomini della maggioranza giurano che i programmi più cari a Ruffini e più invisi al premier sarebbero i primi a essere falciati da Minoli. Difficile, però, che l’eventuale taglio possa essere operato per la stagione ai nastri di partenza, con tutti i contratti firmati e la programmazione già fissata. Sarà forse possibile per la prossima, quando avremo tutti una primavera in più: l’unico motivo reale per cui Minoli potrebbe vedersi sfilare la poltrona ancora una volta.