Ad un anno della vittoria elettorale della destra-centro va in scena il prevedibile teatrino dei commentatori schierati a sinistra e a destra. Dai primi, è scattata una bocciatura senza appello: leader bifronte, atlantista ed “educata” nei consessi internazionali, dalla parte giusta nel condannare l’invasione dell’Ucraina da parte dello neo zar Putin, impegnata, ma con scarsi successi, in missioni internazionali sui temi dell’immigrazione e sviluppo, amica della Von der Leyen ma anche degli ultradestri spagnoli di Vox e del leader sovranista Orban; in politica interna, l’underdog, così come si era definita, ondeggiante tra una sostanziale continuità – causa vincoli esterni e pesantezza del debito pubblico – con il “draghismo”, e sparate “populiste” (crociata anti banche e contro le tariffe aere) che hanno irritato non poco i mercati, l’interventismo massiccio su misure sociali (lo stop al reddito di cittadinanza, un facile bersaglio perché interessa una platea sociale lontana dal bacino elettorale della destra), e l’immobilismo sulle accise dei carburanti, vecchia battaglia della Meloni “barricadera”.
La stampa di destra, invece, celebra l’apoteosi: finalmente un piglio deciso contro l’immigrazione irregolare (decreti Cutro e le decisioni degli ultimi giorni per contenere la massiccia invasione di Lampedusa, fino alla “taglia” di 5.000 euro che i richiedenti asilo dovrebbero versare per evitare la “prigionia” nei Centri per il rimpatrio); l’esaltazione del grido di “Dio, Patria e famiglia”, fino all’assoluto che toccherebbe alla politica “difendere” Dio; il tentativo di ripristinare a parole la disciplina nelle scuole (con la mannaia del voto in condotta), il progetto di una nuova narrazione, impregnata sui valori delle radici, della tradizione, terra e sangue, per affermare una nuova egemonia e ribaltare l’ideologia del politicamente corretto della sinistra, il tentativo di tagliare le unghie ai poteri forti (banche), la difesa di corporazioni di riferimento (tassisti e gestori di lidi balneari).
Sono questi solo alcuni degli spunti del dibattito in corso. Meloni “superstar”, che trascorre le vacanze in Puglia, fa una scappata in Albania, si vergogna per un filmato in cui alcuni italiani sciagurati scappano da un ristorante albanese senza pagare il conto e corre ai ripari; Meloni “istituzionalizzata”, accolta con stima e simpatia dai grandi della terra, da Biden e persino da Macron, il leader francese verso il quale la premier italiana non nutre eccessiva simpatia, dai tedeschi, dalle autorità di Bruxelles; Meloni “identitaria”, che fa suo il vecchio comandamento del Pci (nessun nemico a sinistra) e che guarda con preoccupazione lo sganciamento di Salvini che la scavalca a destra; il tentativo velleitario di Gianni Alemanno di creare un partito di destra sociale e che accusa Meloni di avere un’ispirazione liberista; il successo letterario e politico di una generale che porta a galla una “vena” elettorale e culturale del Paese e afferma che i gay non sono “normali”, che le femministe sono delle “moderne fattucchiere”, e definisce gli italiani in base delle diverse gradazioni di “bianco”.
Ma quello del generale è il mondo di riferimento della ragazza della Garbatella che è diventata “premier”, ma che non dimentica (o non può dimenticare) da dove proviene. Un anno è poco per sbilanciarsi in giudizi: né apocalittici, come fanno da sinistra in cui lo spostamento delle zero virgola è interpretato come il segno della fine della “luna di miele”, né dalla destra culturale più impegnata ad accendere fuochi che a spegnerli. Meloni dovrà nei prossimi mesi dimostrare se intende trasformarsi in una leader di stampo liberale oppure se il richiamo della foresta della comunità delle origini le piomberà le ali. I leader si forgiano nella capacità di interpretare il proprio tempo, di individuare delle direttrici, persino rischiando facili rendite di posizione. Non si lasciano ingabbiare da piccole polemicucce, dal timore dell’esito del prossimo appuntamento elettorale. Per quello, il teatrino della politica è pieno di attori non protagonisti.