Caro Ferrera, sul diritto alla pensione hai sbagliato “diritto”

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Caro Ferrera, sul diritto alla pensione hai sbagliato “diritto”

13 Settembre 2011

Caro Ferrera,

temo di non essere d’accordo sul tuo editoriale sul Corriere di oggi “Le verità nascoste dello stato sociale”.

Tu affermi che i diritti acquisiti non valgono per i diritti sociali. Posso anche essere d’accordo a condizione che non venga considerato diritto sociale il diritto alla pensione.

Il diritto alla pensione, infatti, non è un diritto sociale, bensì un diritto civile soggettivo che, in un sistema liberale, dovrebbe essere calcolato attuarialmente in base ai contributi versati (saranno poi le casse previdenziali di categoria a gestire i fondi al riparo dal ciclo economico positivo o negativo: investendo in immobili o titoli sicuri, come peraltro era obbligata anche l’inps prima della svendita a quattro lire agli affittuari privilegiati dall’ente medisimo: affitto poli e alienopoli). Se lo Stato mi toglie qualcosa commette una vera rapina.

Come ben sai il sistema a ripartizione ha generato, specie nel nostro paese, una enorme confusione tra previdenza ed assistenza. Non sarò certo io a ricordarti che in base a criteri meramente clientelari, nella prima come nella seconda Repubblica, sono state date “pensioni”, che io chiamerei elargizioni graziose, a chi aveva appena 8 anni di “contributi”, pensioni baby, finestre, pensioni agli invalidi a carico degli extracomunitari con permessi di soggiorno, e via discorrendo.

Solidarietà sociale? Direi proprio di no; giustamente tu sottolinei che i giovani di oggi per mantenere in equilibrio il sistema retributivo debbono pagare oneri sociali insostenibili pur avendo delle paghe che non sono minimamente paragonabili a quelle che avevamo noi quando eravamo giovani.

Ho sostenuto che il sistema a ripartizione è stato il più colossale esproprio generalizzato, gestito peraltro, non con equità ma con i soliti sistemi mafiosi-clientelari italiani. Ed a proposito di operazione verità, non vedo altra proposta che quella di rimodulare un sistema contributivo non rinviato alla calende greche (ma qualche forza politica sostiene di ripristinarlo integralmente… con le tasse suppongo). Pinochet è stato sicuramente un criminale, ma alla sua caduta, i sindacati cileni non hanno toccato una virgola del suo sistema previdenziale basato su principi contributivi.

Quanto poi al discorso 35 o 40 anni etc, (per cortesia non diamo i numeri al lotto) per il collocamento a riposo anche qui ci troviamo in una logica dirigista. Se io voglio andare in pensione con 18 anni/20 anni di contributi prenderò la pensione che mi spetta in base ai sopracitati calcoli attuariali e vado in pensione quando voglio.

Al contrario, se piacendomi il lavoro, ed ovviamente, essendo lucido nelle mie facoltà, voglio andare in pensione a 70 anni, ma perché dovrei coattivamente andare prima? Un po’ come si fa per la validità della patente di guida, subordinata, via via che il tempo passa, all’età.

Mi obietterai che in questo modo si sfugge al sistema del welfare. Ma perché? Per i casi di oggettiva necessità, invalidi, disoccupati, etc, deve pensarci lo Stato tramite l’assistenza con la fiscalità generale: questi per me sono i diritti sociali, non i diritti soggettivi pensionistici di cui sopra. Diversamente, com’è il caso attuale, facciamo pagare un’ulteriore fiscalità a chi è già in pensione diminuendo il quantum, le liquidazioni e l’importo retributivo, elementi che variano a ogni finanziaria.

Ed infine, un’ultima osservazione: perché categorie speciali (notai, avvocati, dipendenti Banca d’Italia) gestiscono molto efficacemente le loro casse previdenziali private senza alcun contributo alla solidarietà generale ed hanno il terrore di essere assoggettati all’Inps?

Mi rendo conto che le cose proposte vanno attentamente calibrate, ma subordinare diritti previdenziali soggettivi (quelli veri, si intende, e non le accennate elargizioni graziose) all’andamento demografico ed economico mi sembra di un dirigismo pazzesco. Ricorderai che l’Unione Sovietica è implosa non per manifestazioni di piazza, ma perché lo stato non potè più pagare le pensioni. A titolo meramente personale, una mia amica russa, ingegnere, mi diceva che negli ultimi tempi, veniva pagata con carta igienica.

Tanto premesso ti saluto cordialmente

 

*Professore di diritto pubblico della Facoltà di Giurisprudenza Università degli Studi di Genova