
Castelluccio di Norcia, un racconto sospeso

07 Luglio 2025
di Ilaria Rizzo
Una lunga strada in salita attraversa boschi e rocce che alternano un profilo gentile a un profilo più aspro. Quando il paesaggio comincia a mutare, tra i campi di grano in cima alla montagna c’è un avamposto della polizia locale che invita a lasciare la macchina per raggiungere il borgo nascosto a bordo di una navetta. “In macchina si può andare dove si vuole, ma non ci si può fermare” dice uno di loro.
Il visitatore ignaro procede sperando nella buona sorte, affascinato da un senso di mistero che il percorso a ostacoli sembra alimentare. La strada continua e girando la faccia della montagna si apre un paesaggio dal volto inatteso: è qui che si estendono il Pian Grande e il Pian Perduto, nel cuore del Parco nazionale dei Monti Sibillini. Seppur trovandosi a quota elevata, gli altopiani illudono per un poco il senso di distanza per accogliere chi li attraversa in una grande culla sospesa – così vicina, sembra, al cuore profondo della Terra. I contorni dei monti si fanno collina, morbidi e sinuosi corpi di donna; e i campi coltivati risplendono dei colori caldi e pastellati delle foglie e dei fiori che di questi tempi puntellano la valle.
Tra la fine di maggio e gli inizi di luglio, infatti, sono le fioriture a caratterizzare la zona: genzianelle, narcisi, violette, papaveri, ranuncoli, asfodeli, viole, trifogli e tant’altro. È un momento importante questo, non solo per gli allegri banchetti degli insetti impollinatori, ma per gli amanti della natura e delle scampagnate. Meta adorata, pare, dai motocilisti che qui trovano il perfetto connubio tra le curve di montagna e i paesaggi da cartolina.
Intorno è pieno di persone. Qualcuno è romanticamente seduto fra le spighe di grano di una discesa, sotto un ombrellino a ripararsi dal sole, ricordando una scena di un quadro impressionista francese. Altri camminano tra i fiori, li osservano e si fanno scattare delle foto. Impossibile non notare un improbabile bosco di conifere a forma d’Italia, là sulle pendici del monte: un’opera dal vago gusto patriottico commissionata nel 1961 per celebrare il centenario dell’Unità d’Italia, su iniziativa dall’allora ministro dell’agricoltura Mariano Rumor.
Poco più in là c’è il borgo, il tanto atteso borgo dove “non si può sostare”. È Castelluccio di Norcia, quello che è definito come il centro abitato più elevato degli Appennini. L’occhio lontano del visitatore, rapito da un vagheggiare placido e assorto, scorge in prospettiva il curioso paesino: qualche casa, magari una chiesa, pochi anziani abitanti e cibo per tutti.
Questo è il paese immaginato, il paese previsto – ma non è il paese che esiste. Ciò che appare è un insieme di macerie, cantieri e poche facciate che guardano la vallata. Altro non è, adesso, che un luogo della memoria insieme a un punto di ristoro per turisti che vogliono godersi il paesaggio mangiando qualcosa di tipico. Ma è un turismo disordinato, le strade sono irregolari e non è proprio vero che non si può sostare. È un turismo accalcato, si fa un po’ ciò che si vuole: le persone sbucano dagli angoli per concentrarsi attorno ai camioncini, respirando il profumo delle salsicce arrosto. Il resto non è accessibile, è un cantiere dove non ci si spinge, dove tutto è bloccato da cancelletti di ferro mobili. Ma rimane ai margini un piccolo cimitero a raccontare quello che non si vede più.
Castelluccio di Norcia non si trova certo in una posizione comoda. Sorge a 1452 metri sul mare nell’Appennino umbro- marchigiano. La sua è una storia lunga: l’insediamento ha origini romane, ma il nucleo attuale prende forma nel XIII secolo, come castello adibito al presidio del confine dei pascoli. Come molte aree interne italiane, ha subito un progressivo spopolamento: nel 2001 contava circa 150 abitanti, scesi a 120 nel 2011, secondo i dati ISTAT.
Gli abitanti erano impiegati nella pastorizia e nell’agricoltura, come attesta la produzione delle famose lenticchie, la “lénta” come le chiamano qui; a questo si aggiungeva sia il turismo invernale, con la neve e le piste da sci, che estivo con l’escursionismo. Qui gli abitanti sono uniti alla loro terra da un legame profondo: numerose sono le leggende che costellano questi luoghi insieme a elementi peculiari e curiosi come le scritte sui muri fatte con la calce negli anni ’60 e ’70, legate a litigi paesani e tensioni amorose, spesso in rima e in dialetto castellucciano – incomprensibili ai forestieri.
Ma Castelluccio non ha retto al terremoto. La sequenza sismica che ha colpito l’Italia centrale tra il 2016 e il 2017 ha sgretolato il borgo: il campanile e la chiesa di Santa Maria Assunta sono andati completamente perduti, insieme alla gran parte delle costruzioni del paese.
Da allora a Castelluccio non si vive più. La popolazione e gli animali – componente fondamentale della vita del posto – sono stati dapprima accolti nelle vicine città per poi sistemarsi in soluzioni provvisorie. “Castelluccio entro due, tre anni al massimo deve essere riscostruito” diceva nel 2016 Diego Pignatelli, presidente della Pro Loco di Castelluccio di Norcia rivolgendosi all’allora premier Matteo Renzi, in una dichiarazione rilasciata a Panorama.
Ma la storia è nota, e la ricostruzione è un processo lungo e complesso: ancora oggi, nei paesi degli Appennini centrali, i segni del sisma sono visibili ovunque. E non è raro imbattersi in paesi quasi del tutto disabitati.
Nel dicembre 2021 è stato finalmente presentato il progetto di ricostruzione di Castelluccio che ha preso il via nel giugno 2024, frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Perugia e la Regione Umbria. Si tratta di un piano ambizioso, basato su piastre antisismiche che garantiranno la sicurezza degli edifici.
Un esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato, reso possibile dalla coesione dei numerosi proprietari coinvolti, capaci di dare vita a un progetto unitario e condiviso. “La comunità ha saputo lavorare insieme, con uno splendido esempio di connubio tra pubblico e privato, che ci consente oggi di celebrare l’avvio del cantiere che riporterà questo splendido borgo a rinascere in piena sicurezza. Diamo inoltre dimostrazione che è possibile innovare ricostruendo e ricostruire innovando” ha dichiarato in quell’occasione Guido Castelli, Commissario alla Riparazione e Ricostruzione Sisma 2016.
Castelluccio potrebbe diventare un modello per altre comunità ferite, un punto di riferimento per i luoghi colpiti da calamità naturali. Per ora resta sospeso, come i suoi altopiani, tra memoria e desiderio, tra rovina e rinascita. Ma chi arriva fin quassù, intuisce l’eco di un silenzio colmo di attesa, di tenacia, di bellezza. Forse è proprio questo, oggi, il suo modo di resistere e di ricominciare.