C’è un’etica della libertà economica alternativa allo statalismo
13 Luglio 2022
Non c’è dubbio che la vita democratica di un Paese è fatta di riti di passaggio come quelli a cui stiamo assistendo in queste ore. Draghi che incontra le parti sociali, i partiti che scalpitano, le ragioni del consenso e la demagogia sui fantomatici scostamenti di bilancio necessari a ripagare le promesse elettorali passate o future. Certo sarebbe curioso far cascare un governo che in tempi difficili come quelli che stiamo attraversando ha comunque messo a terra il Pnrr e generato una crescita stimata per il 2022 intorno al 3 per cento. Tema assente dal dibattito pubblico sotto gli occhi dei cittadini, quasi al pari della libertà economica.
Si può tirare da più parti la giacca di Draghi, dicendo che rischia una deriva troppo progressista o criticare il fatto che non c’è stata una riforma della giustizia o del codice degli appalti. In ogni caso, siamo sempre nel quadro dei vecchi riti, le mediazioni, le fibrillazioni, la crisi estiva, nuovi governi se quelli vecchi cadono, il voto se non se ne formano di nuovi. Una cosa però sembra mancare in questo quadro familiare. La visione. Una idea di come sarà l’Italia tra dieci o vent’anni.
Prendiamo il Pnrr, ma è un discorso che può riguardare anche tutto il resto, solidarietà e coesione sociale, lotta alle diseguaglianze e misure per combattere la povertà crescente, salari, fisco e burocrazia. La questione è chiedersi non solo quanti soldi serviranno per affrontare queste sfide e dove andranno a finire, non è solo una questione economica, insomma, ma ideale che riguarda cioè l’idea di Paese che abbiamo in testa. È immaginabile che l’unica soluzione di fondo sia l’intervento dello Stato?
Se gli investimenti li fa lo Stato, se la solidarietà la fa lo Stato, se i redditi li sostiene lo Stato, se i salari li decide lo Stato, si può davvero pensare che avremo una Italia più forte, moderna, dove il mondo del lavoro e le imprese saranno più libere di quanto non lo siano adesso? Lo statalismo non ha trasformato l’Italia in una potenza economica. Attraverso deficit e debito si è solo scaricata sulle prossime generazioni il costo del presente.
Se lo Stato italiano continua ad espandersi avrà bisogno di sempre nuove tasse e di risorse tolte ai contribuenti per alimentarsi. Se si mandano in pensione prima le persone invece di lasciarle libere di lavorare e non si fanno figli perché non c’è una idea di futuro prima o poi i costi del sistema saranno tali che lo affonderanno. Se si continua ad assumere dipendenti pubblici, a pagare chi il lavoro non vuole cercarselo, a sussidiare imprese che non investono né innovano, la ricchezza creata da imprese e lavoro sarà sprecata e non ci sarà una vera crescita economica.
Il patto sociale da riscrivere dovrebbe essere questo, costruire una alternativa al partito unico statalista. Gli uomini di impresa dovrebbero essere protagonisti di questa alternativa, dimostrando di non ragionare esclusivamente in chiave di profitto ma riuscendo finalmente a dare un valore morale al mercato, alla libera iniziativa, alla libertà economica dei cittadini. Che lo Stato debba prendersi cura degli ultimi, senza lasciare indietro nessuno è il corollario di una società davvero libera e che cresce. Questa è la visione che manca.
I sondaggi effettuati sulle nuove generazioni dicono che i giovani non stanno tutti alla finestra aspettando il posto fisso, ma che al contrario hanno la ambizione di diventare imprenditori di se stessi. Quale libertà stiamo offrendo loro per farlo? Le proposte dei partiti che sentiamo sui salari e la redistribuzione della ricchezza sono fatte solo di numeri, rispondono solo a una logica economicistica. La ricchezza però non si crea solo con i soldi, se manca l’autonomia individuale, se manca una visione dello sviluppo non potrà esserci vero benessere. Se la libertà economica continuerà ad essere subordinata e anche calpestata da uno Stato che imprigiona le forze vive della nostra società, non ci sarà mai quella maturazione etica, morale, di capitale e lavoro.
Il benessere non può crearlo lo Stato, quando ci ha provato abbiamo visto come è andata a finire. Il benessere lo creano le persone lavorando, chi fa impresa investendo, le Comunità crescendo attraverso il merito, chi sa eccellere e innovare. Torniamo a seguire l’evolversi dei vecchi riti di Palazzo, consapevoli che anche di questo è fatta la nostra vita democratica. Ma chi vuole realizzare quella visione nuova di libertà ancora lo dobbiamo trovare, nel Palazzo e fuori.