C’è una continuità tra Craxi e Berlusconi ma non quella che molti credono
30 Agosto 2007
In attesa di una piena ripresa del dibattito
politico conviene approfittare di questi ultimi giorni di pausa per una
riflessione parzialmente svincolata dall’attualità, ma non dalle urgenze della
vita pubblica. Spesso, presi dall’incalzare degli avvenimenti, ci dimentichiamo
che le difficoltà della politica italiana sono legate, molto più di quanto si
pensi, ad una lettura distorta degli avvenimenti dell’ultimo quindicennio.
Fatto ancora più negativo, sovente, questa lettura distorta trova riscontro,
sia pure in forme diverse, non solo in ampi settori di opinione orientati verso
il centro sinistra, ma anche in larga parte dell’opinione moderata e
conservatrice. Allora, fare piazza pulita di questa ricostruzione caricaturale
della crisi italiana è indispensabile per decifrare in modo più lineare anche
gli avvenimenti quotidiani.
Un aspetto non secondario di questa
raffigurazione immaginaria della realtà, nata in certi settori della sinistra
ma non priva di seguaci anche a destra, è data dall’idea che esista una
continuità negativa che legherebbe Craxi a Berlusconi. Una sorta di filo nero
collegherebbe i presunti misfatti del “craxismo” agli ancora più
terribili orrori del “berlusconismo”. Si tratterebbe, detto in soldoni,
di due facce di uno stesso fenomeno degenerativo. Un fenomeno degenerativo a
cui si dovrebbero far risalire tutti i difetti della vita pubblica italiana.
Dalla mancanza di ideali, alla decadenza dei partiti, alla commistione indebita
tra affari e politica.
Si tratta di affermazioni che, per quanto
vulgate, non hanno alcun fondamento, e che cadono a un esame anche
generalissimo. Vediamo anzitutto un succinto profilo dei due personaggi. Craxi
era un politico di professione, che fin dalla prima giovinezza aveva fatto dell’impegno
politico la sua unica attività. La sua caratterizzazione ideologica è
altrettanto chiara: un socialista autonomista, inserito nella tradizione del
socialismo riformista italiano ed europeo. Certo, egli era attento ad
aggiornare quella tradizione, come cercò di fare nella sua azione di governo,
ma ad essa rimase sempre legato, mai rinnegandola. In politica estera, per
quanto non dimentico della posizione internazionale del nostro paese, fu sempre
sentimentalmente terzomondista e attento a cercare spiragli nella tradizionale
collocazione internazionale del nostro paese.
Berlusconi è un imprenditore di successo, che
non si è mai occupato di politica. Il suo impegno politico diretto arriva assai
tardi (a 58 anni) e solo a seguito del crollo della prima repubblica. Il suo
profilo intellettuale, più che ideologico, è quello di un imprenditore
portatore di una aggiornata cultura d’impresa. Una visione che ha cercato di
trasferire in politica, anzitutto nelle tecniche di comunicazione. Anche sul
piano dei programmi le sue parole d’ordine hanno sempre richiamato e
valorizzato la libertà d’impresa e la necessità di una diminuzione della
pressione fiscale. Ovvero obiettivi lontanissimi da quelli della
socialdemocrazia. Sul terreno cruciale della politica estera, poi, negli anni
in cui ha guidato il governo ha tenuto una posizione di piena fedeltà atlantica
del tutto aliena da quella vocazione di dialogo mediorientale e di
bilanciamento mediterraneo che ha caratterizzato la politica estera dei governi
guidati da Craxi (basti pensare all’episodio di Sigonella). Difficile
immaginare due profili biografici e intellettuali più distanti.
Insomma, se solo non si rinuncia a servirsi
del cervello, la presunta continuità scompare e appaiono le grandi differenze
biografiche, di cultura, di personalità. Tuttavia prima di relegare questo
idolo polemico nella spazzatura della cattiva politica converrà soffermarsi su
di un elemento di verità che giace sepolto sotto la comune etichettatura del
finto binomio degenerativo. C’è, infatti, un aspetto che accomuna Craxi e
Berlusconi, ciascuno di loro ha avvertito che il tumultuoso sviluppo economico
e sociale che l’Italia ha conosciuto a partire dagli anni sessanta del secolo
scorso ha prodotto una grande trasformazione sociale. Una trasformazione che il
sistema politico non era in grado di recepire. Entrambi, ciascuno a suo modo,
hanno cercato di porre rimedio a questo scollamento tra sistema politico e
sviluppo sociale, ritenendolo pericoloso per la crescita economica e civile
dell’Italia.
Tuttavia anche questa comune sensibilità ha
avuto esiti diversi. Craxi non seppe dare un seguito coerente alle sue
intuizioni e divenne il capro espiatorio della crisi del sistema. Berlusconi,
in una fase successiva, è riuscito a interpretare in modo più coerente le
necessità del diverso quadro sociale. Sotto questo profilo, solo sotto questo
profilo si può trovare un punto di contatto fra le loro esperienze.
Un’ultima considerazione s’impone. Letta in
questa chiave di comune volontà di modernizzazione, la presunta continuità
negativa fra il leader socialista e l’imprenditore milanese svela un altro
profilo. Essa è il prodotto di una sinistra che non solo non è stata in grado
di capire la mutazione della società, ma ha cercato di esorcizzare questa carenza
creando un grottesco idolo polemico.