Chi è responsabile della violenza subita da una ragazzina a scuola
01 Aprile 2010
A Salò provincia di Brescia in una classe di seconda media si è consumata una storia che ha dell’inverosimile. Il professore interroga e un gruppetto di ragazzi a semicerchio protegge la violenza. Una ragazza di dodici anni è costretta ad inginocchiarsi mentre i suoi compagni si abbassano i pantaloni. Probabilmente se non suonava la campanella sarebbe stata costretta a fare sesso orale. Il professore non si è accorto di nulla!
Nessun compagno ha pensato ad urlare, chiamare, fermare l’assurdità. Per paura di ritorsioni? Per indifferenza? Perché si divertivano? Forse tutte queste cose insieme. Accadeva il 20 febbraio scorso. La notizia è stata data dall’insegnante di italiano che l’ha saputa dagli studenti. E’ stato fatto fare un tema, nel quale i ragazzi pare si siano sbizzarriti a raccontare il fatto dicendo che si sono divertiti. Confessione di gruppo che è finita con la sospensione dei ragazzi, ma anche della ragazza ritenuta co-protagonista.
Quando i genitori della ragazza hanno saputo è scattata la denuncia. La ragazza ha cambiato scuola. La preside deve rispondere di non aver sporto denuncia. Il professore dovrà spiegare probabilmente come si fa a non avere il controllo di una classe, almeno visivo. Non si accorgeva che una alunna non c’era? E i ragazzi dovranno rispondere del loro comportamento violento.
Sconcertano i comportamenti, non solo dei ragazzi ma anche degli adulti. La preside che non fa denunce dicendo che se la ragazza non ha detto nulla a casa è perché il giorno dopo aveva già dimenticato. Si può davvero dimenticare un’umiliazione, una prevaricazione così grande? Essere costretta a sottomettersi alle richieste di compagni più grandi per avere in cambio, sembrerebbe, l’aiuto a far sapere ad un ragazzo di un’altra classe che lei era innamorata di lui. Era finita in questo gioco squallido perché voleva essere aiutata a piacere, a suscitare l’interesse di un ragazzo e voleva che i suoi compagni l’aiutassero, ci mettessero una buona parola. Da qui erano partite nei suoi confronti le richieste, prima di denaro e poi si era passati alle richieste di prestazioni. Alza la gonna, fai vedere il seno, per poi alzare il tiro ed arrivare alla violenza in classe. Veri ricatti.
Nessuno dei professori né la preside hanno fatto la banale riflessione, innanzitutto, sulla differenza di età dei protagonisti della vicenda. Avere dodici anni, tanti ne ha la ragazza, e averne quattordici o quindici, età dei compagni ripetenti, fa un’enorme differenza. Essere tre o quattro contro una parla da sé. Come è possibile che dei docenti non abbiano sentito l’esigenza di capire, prendere provvedimenti differenziati, fare una denuncia, fare una lezione a tutta la classe che ha partecipato, e dunque non ha denunciato, ma ha collaborato con il silenzio?
Assurdi inoltre i commenti della preside, la quale ritiene che i ragazzi non volevano commettere nessuna violenza ma consideravano quei comportamenti un gioco. Osservando che sono ragazzi sempre davanti al compiuter a guardare scene di sesso e volgarità, e ai quali, più volte aveva sottratto materiali pornografici. Quindi ragazzi potremmo dire che non sanno più distinguere i comportamenti adeguati alle situazioni, ai contesti, ma anche ai contenuti. Tanto più era importante fargli cogliere i significati delle loro azioni con adeguate risposte che non ci sono state. Spiegare che vuol dire ricattare, prevaricare, essere un gruppo contro uno. Questo è bullismo e la preside doveva denunciare per permettere di riparare i danni arrecati. Doveva soprattutto tutelare e risarcire la vittima che invece è stata trattata come i persecutori, sospesa anche lei!
In questa storia ci sono molti buchi neri. I grandi lasciano pensare. Spero che possa chiarirsi e magari possano emergere aspetti nuovi che facciano luce su questi comportamenti scomposti. Ma se le cose stanno così, vuol dire che non solo i ragazzi hanno perso di vista regole, comportamenti, rispetto degli altri, moralità, ma che soprattutto gli adulti non sono più in grado di educare ed intervenire nel dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Una vicenda così non può essere risolta con una banale sospensione che sappiamo bene per i ragazzi equivale ad una vacanza. Allora se un capo di istituto non denuncia vuol dire che i ragazzi sono legittimati a pensare che quello che hanno fatto è solo un brutto gioco, uno scherzo, come giocare ai videogame. Pericoloso questo ragionamento. Se gli adulti non sanno distinguere tra scherzo, gioco, violenza, e ricatto come si può pensare che lo capiscano i giovani?
Adulti che si preoccupano solo che i figli possano essere rovinati da una denuncia. Non si preoccupano di quello che hanno fatto. La domanda da porsi è un’altra siamo sicuri che sono meno rovinati se non li denunciamo? Siamo di fronte a genitori che non colgono il pericolo di lasciare un figlio impunito. Come i genitori che se la sono presa con i poliziotti che volevano sporgere denuncia ai ragazzi che attraversavano l’autostrada sfidando la morte. Sconcertante, quasi quasi meglio un figlio morto che un figlio denunciato.