
Cinema, Iran e libertà

05 Giugno 2025
di Ada Ranieri
Aeroporto di Teheran, 28 maggio 2025. Il regista Jafar Panahi torna a casa con la Palma d’Oro tra le mani, ricevuta per It was just an accident al Festival di Cannes. Ad attenderlo ci sono i suoi sostenitori. Panahi è un simbolo e la vittoria a Cannes, oltre a premiare le sue capacità artistiche, appare un monito alla difesa della libertà. Non solo quella creativa. Un messaggio, politico, di denuncia sulla condizione dei diritti umani, sempre più a rischio non solo in Iran.
Quello di Panahi è un cinema che resiste. Da anni. Il regista, infatti, continua a girare film rivendicando la sua libertà di espressione, anche tramite geniali stratagemmi per aggirare la censura e i divieti imposti dalla Repubblica islamica. Dopo esser stato arrestato nel 2009 per aver realizzato, con Mohammad Rasoulof, un documentario sulle proteste dell’Onda Verde, a Panahi era stato proibito di uscire dal Paese e di girare. Ma questo non l’ha fermato.
Nel 2015 ha realizzato clandestinamente Taxi Teheran, un finto documentario in cui il regista si finge un tassista e trasporta passeggeri di varia provenienza sociale, età e opinione politica per le strade di Teheran. Dalle riprese amatoriali nel limitato interno del taxi, si apre uno spaccato realistico sulla situazione del Paese: tensioni sociali, frustrazione e speranze silenziose.
Giocando tra realtà e finzione, umorismo e dramma, ogni passeggero porta con sé la sua storia, diventando un importante tassello per comprendere la complessità della realtà iraniana. E’ una storia incredibilmente umana. Nell’essenzialità e semplicità tipica del realismo di Panahi, il film è un diario personale, espressione del ruolo dell’artista in una società repressiva e della lotta contro la censura.
La pellicola ha vinto l’Orso d’Oro al Festival internazionale del cinema di Berlino. Il premio è stato ritirato dalla nipotina di Panahi, Hana (che nel film interpreta se stessa), proprio a causa del divieto che impediva all’artista di lasciare il Paese.
Nel 2022, Panahi è stato nuovamente incarcerato e liberato a seguito di uno sciopero della fame e ha girato il suo ultimo film in co-produzione con Francia e Lussemburgo. It was just an accident è ispirato dalle esperienze di prigionia proprie del regista. La storia segue cinque ex detenuti che si trovano faccia a faccia con l’uomo che credono responsabile delle torture subite; da qui nasce un dramma umano e morale sospeso tra giustizia, vendetta, perdono e verità.
A Cannes, il film ha ricevuto una standing ovation di otto minuti. E come il regista stesso ha dichiarato, accende la speranza su un futuro senza oppressione. Il ritorno sul palcoscenico internazionale di Panahi è la dimostrazione che il cinema può ancora lanciare messaggi potenti. “Ciò che conta di più ora è il nostro Paese e la sua libertà” ha detto Panahi, risoluto a tornare in Iran, come poi ha fatto, nonostante le difficoltà affrontate in passato e le future possibili conseguenze.
Altri registi iraniani, come Mohammad Rasoulof, sono stati arrestati ma continauno a raccontare con uno sguardo coraggioso cosa accade nel proprio Paese. La fumettista e regista Marjane Satrapi, autrice di Persepolis, ha dato voce all’Iran delle donne e dell’esilio. In modi diversi, questi artisti trasformano l’arte in resistenza: cinema e fumetti sono un modo per sconfiggere la censura e la galera.
“L’arte vincerà sempre, ciò che è umano vincerà sempre,” ha commentato la presidentessa della giuria di Cannes, Juliette Binoche, durante la premiazione di Panahi. Il Ministro degli Esteri francese Jean Noel Barrot ha definito la vittoria di Panahi come “un gesto di resistenza contro l’oppressione del regime iraniano”. La dichiarazione ha suscitato dure reazioni a Teheran, che ha convocato l’ambasciatore francese per avere spiegazioni.
Nei giorni scorsi, Panahi ha invitato gli autisti che stanno scioperando a Teheran a estendere la protesta a livello nazionale. “Questo sciopero è un grido potente al Governo: quando è troppo è troppo. Mettete fine all’oppressione e allo sfruttamento prima che non rimanga nulla per il popolo,” ha scritto su Instagram. Ci si chiede cosa gli accadrà in futuro. La sua visibilità internazionale è uno scudo destinato a proteggerlo? Verrà a San Savino, in Italia, per un workshop sul cinema ad agosto?
Intanto, resta l’importanza simbolica di questa vittoria. In un momento in cui i tradizionali campioni della libertà, come gli Stati Uniti, sembrano voler subordinare la battaglia per i diritti umani agli interessi economici, l’Europa può assumere una leadership forte in difesa della libertà. Attraverso la promozione della cultura e il riconoscimento delle opere degli artisti censurati, il Vecchio Continente può essere un faro per chi si batte contro l’autoritarismo.