Come cambia il welfare aziendale
20 Settembre 2023
L’impatto della pandemia sul mercato del lavoro, l’impennata dell’inflazione e le scelte di politica monetaria della Ue impongono una riflessione sulle reali possibilità che hanno le piccole e medie imprese di implementare piani di welfare aziendale. L’interesse verso gli strumenti di welfare da parte delle PMI italiane c’è, lo conferma una indagine condotta dalla Fondazione Consulenti del Lavoro in collaborazione con Sodexo Benefits and Rewards Services, ma può conciliarsi con una contingenza economica che sembra diventare critica?
In Europa la domanda di welfare aziendale è cresciuta sia qualitativamente che quantitativamente con l’evolversi della situazione economica internazionale. Numerose grandi aziende europee hanno dato vita a soluzioni agili e flessibili per venire incontro alle esigenze dei lavoratori. Lo strutturarsi dello smart working dopo la pandemia, la progressiva digitalizzazione dei servizi e il moltiplicarsi delle forme di incentivi e benefit per i dipendenti hanno permesso di fare un salto di qualità nel welfare privato, sempre più orientato verso il work life balance, cioè una gestione più equilibrata fra tempo di lavoro e tempo di vita dei lavoratori.
Dai contributi per la spesa legata all’istruzione dei figli alle stanze per l’allattamento che garantiscono la privacy delle madri in ufficio, dalle politiche per rafforzare i congedi per i padri investendo nella equità di genere ai servizi di coaching o consulenza psicologica, si punta a favorire il benessere dei dipendenti a trecentosessanta gradi. In Italia le prime evidenze emerse dallo studio che la Fondazione Magna Carta sta svolgendo per analizzare le ragioni profonde del calo demografico nel nostro Paese indicano che persistono delle disparità regionali nella offerta dei servizi di welfare aziendale: sensibilmente più alti al nord rispetto alle regioni del sud.
Sarebbe a dire che mentre nel Mezzogiorno tra le cause che spingono i più giovani a rimandare la scelta di fare un figlio si tende a mettere al primo posto la incertezza economico occupazionale, nel Nord Italia serpeggia più la paura di non riuscire a gestire efficacemente la conciliazione tra vita e lavoro, e questo chiama all’appello le aziende e i loro pacchetti di welfare, in particolare quelle Pmi che caratterizzano tanta parte del panorama produttivo italiano. Va anche detto che non si può pensare di rispondere totalmente ed efficacemente alle esigenze di lavoratori e famiglie solo con le risorse messe in campo per i cosiddetti “fringe benefit”.
Risorse che, giustamente, il governo vorrebbe estendere sia come incidenza economica che guardando ai lavoratori del settore pubblico. Le barriere imposte dall’attuale legislazione fiscale nel nostro Paese, le complicazioni normative e legate alla contrattazione collettiva che in alcuni casi rischiamo di imbrigliare più che aiutare le aziende a liberare le proprie energie creative, il ritardo che abbiamo sul fronte della innovazione digitale però sono tutti disincentivi alla diffusione del welfare aziendale tra le piccole e medie imprese. Alzare i fringe benefit connettendoli al costo reale della vita, dunque, è solo un primo passo
Come si è cercato di fare rimborsando le spese legate alla istruzione dei figli si potrebbe intervenire analogamente su altri servizi di formazione, orientamento, turoring, ricreativi, per i dipendenti. Magari consentendo una interazione diretta tra lavoratori e fornitori di servizi esterni che semplifichi la vita alle amministrazioni interne delle aziende. Un’altra azione incisiva, ma certamente costosa, potrebbe essere rimborsare gli interessi passivi sui mutui e sui prestiti già pagati dai dipendenti. E ancora, si potrebbero immaginare altre forme di sgravi e sostegno alle Pmi per favorire la formazione di risorse interne che abbiano competenze ESG, riducendo i costi che le aziende devono affrontare per gestire gli uffici interni dedicati (affidandosi alle più costose consulenze esterne).
Le Pmi insomma dovrebbero cercare di superare la logica delle pur utili misure di sostegno al reddito come buoni pasto e buoni benzina, puntando con più coraggio sui servizi atti a migliorare il benessere dei lavoratori e il già citato equilibrio tra lavoro e vita privata. La semplificazione amministrativa del sistema preso nel suo insieme passa dalla sua modernizzazione in chiave digitale, compresa l’implementazione dei pagamenti elettronici e dell’utilizzo delle piattaforme di e-commerce per la gestione dei benefit pubblici e aziendale. Un’ampia campagna di formazione informazione e sensibilizzazione tra PMI, associazioni dei datori di lavoro, sindacati, fornitori di servizi di welfare e consulenti aziendali, è auspicabile per allargare il raggio di azione del welfare aziendale e renderlo più inclusivo e accessibile.
In conclusione, la congiuntura economica internazionale spinge le imprese italiane verso il welfare aziendale, ma per ottenere risultati concreti occorre uno sforzo concertato per superare le barriere burocratiche, amministrative, legislative, investendo sulla digitalizzazione e la formazione. Si tratta di un investimento centrale anche considerando l’impatto che sistemi di welfare aziendale avanzati possono avere nel contribuire alla stabilizzazione dei trend demografici come dimostrano i casi di altri Paesi europei, dalla Francia alla Svezia.