Con Mangione i twittaroli anticapitalisti hanno un nuovo eroe

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Con Mangione i twittaroli anticapitalisti hanno un nuovo eroe

Con Mangione i twittaroli anticapitalisti hanno un nuovo eroe

12 Dicembre 2024

Il caso di Luigi Mangione, accusato dell’omicidio del CEO di United Healthcare a Manhattan, ha suscitato una reazione esplosiva sui social media. La vicenda del presunto assassino del CEO Brian Thompson ha innescato una tempesta di commenti indignati e improbabili fan-cast pro Mangione. Un fenomeno che trasforma una tragedia in una gara a chi ottiene più retweet.

Il caso Mangione esplode sui social

Mentre i meme #FreeLuigi, con il personaggio di Luigi dei “Super Mario Brothers”, invadono il web, alcuni utenti hanno esaltato Mangione come un “eroe”, paragonandolo addirittura a Tony Soprano. Altri hanno speculato su chi potrebbe interpretarlo in uno sketch del “Saturday Night Live”, altri ancora hanno minacciato testimoni che avevano avvistato Mangione in un McDonald’s nello stato della Pennsylvania. Nel frattempo, le indagini rivelano che la pistola che Mangione si portava dietro corrisponde ai bossoli rinvenuti sulla scena del crimine.

Un “Taxi Driver” nell’era degli algoritmi

Sembra lo storyboard per un film: un brillante laureato Ivy League, diventato una persona cinica dopo un infortunio e alle prese con la burocrazia del sistema sanitario, decide di “vendicare” il popolo, prendendosela con i pezzi grossi del sistema. Il tutto, raccontano le cronache, condito da un delirante manifesto contro i “parassiti delle assicurazioni” e – dettaglio non secondario – una serie di foto che evidenziano un fisico scolpito, prontamente adottato dai social come simbolo di quella “giustizia” politicamente corretta che piace tanto alle grandi piattaforme di film e serie televisive. Un Taxi Driver dell’era degli algoritmi, insomma. Ma se ne sentiva davvero il bisogno?

I social hanno fatto come al solito il loro lavoro. Prima, trasformando Mangione in un anti-eroe glamour, pronto per un casting con Penn Badgley. Poi, applaudendo con fervore, e favore, come se ogni like fosse una dichiarazione di adesione al manifesto ideologico del presunto killer. Come dire, una standing ovation virtuale per un gesto che, comunque la si pensi, resta moralmente indifendibile. Ammazzare una persona. Ma ai twittaroli non interessa il sistema giudiziario, se Mangione è colpevole o innocente, è l’intrattenimento che conta, bellezza.

Mangione, il dominio dell’algoritmo e le storie a fumetti

Così il vero protagonista di questa storia non è Mangione, né la sua vittima. È ancora una volta l’algoritmo, che credevamo neutrale e innocente, mentre amplifica tutto e tutti senza distinzione, trasformando un dibattito complesso come quello sui costi del sistema sanitario americano in un polverone di opinioni binarie.

Sui social dove tutto si semplifica, le sfumature si perdono e la polarizzazione diventa dominante. Chi attacca il sistema capitalista è un eroe, chi lo difende è un mostro senza scrupoli. Meglio se ha i connotati del grande manager che guadagna milioni di euro. Non importa che la realtà sia più complicata. Ai twittaroli piacciono le storie a fumetti.

Una trappola per Hollywood

Hollywood, con la sua naturale tendenza alla mitizzazione, rischia di raccogliere la palla al balzo. Ma trasformare questa vicenda in un prodotto culturale – che sia un film, una serie o un documentario – significherebbe ridurre una tragedia a puro spettacolo. Il pericolo? Alimentare l’odio anticapitalista, il rancore e l’invidia degli utenti di feisbuc, costruendo un’icona della ribellione laddove c’è solo, se le accuse saranno confermate, un banale criminale.

Il caso Mangione ci aiuta a riflettere su quale cultura stiamo costruendo in questo magnifico e progressivo mondo digitale. Un assassinio non è un meme, e una tragedia non è un’occasione per ottenere qualche follower in più. Eppure, i twittaroli sembrano incapaci di resistere al fascino del dramma, alla compulsione di mitizzare tutto, anche il male.

Forse non è Mangione il vero “prodotto” di questa storia, ma tutti noi, spettatori affamati di “true crime” in un mondo un attimo più complesso del caso Scazzi. Hollywood farebbe bene a non cadere nella tentazione di trasformare anche questa vicenda in un racconto epico. A volte, basterebbe restare zitti. Ma con il silenzio non si ottengono i likessss.