Contro la speculazione finanziaria occorre smarcarsi dall’euromarco

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Contro la speculazione finanziaria occorre smarcarsi dall’euromarco

Contro la speculazione finanziaria occorre smarcarsi dall’euromarco

26 Luglio 2012

E’ iniziata una nuova guerra mondiale. Le guerre di un volta si facevano con armi ed eserciti, per conquistare terre e popoli; dominarli e divenire più potenti, ma soprattutto più ricchi. Ora, invece, in gran parte del mondo, ricchezza e potere si prendono attraverso la finanza e i suoi strumenti. Il caso greco è significativo: la Grecia viene fatta fallire e così non restituirà una parte dei soldi che ha avuto in prestito; i creditori cercheranno di dividersi le spoglie del Paese; e hanno già cominciato a farlo; prenderanno Banche, patrimoni immobiliari, aziende, infrastrutture e via dicendo; la Grecia comincerà a non essere più dei greci.

Ci sarà qualche morto, schiantato dalle pene della povertà o della disperazione; ma poca roba, rispetto alle vecchie guerre. Questo esempio vale per tutto quello che stiamo vivendo oggi in Europa. La moneta unica è stata il cavallo di Troia, per poter scatenare l’assalto alle economie più deboli, ma non solo a quelle; attraverso loro, anche al potere economico dell’intero vecchio continente, in casa propria e nel mondo.

Non ha senso pensare che i Paesi europei del Sud falliscano tutti; trascinerebbero nel disastro anche quelli del Nord, se non fosse altro, per il forte interscambio della bilancia dei pagamenti e di quella commerciale esistente tra tutti i Paesi della vecchia Europa. Il disegno di questa guerra è diverso; viene da lontano, non ha bandiere ed è manovrato da poteri finanziari trasversali, per interessi (proprietà dei capitali messi in gioco ) e per loro origine geo-politica (Usa, Cina, Brics, Paesi petroliferi o riciclaggi vari).

Il disegno è accumulare patrimoni, con i quali acquisire il controllo economico e poi politico delle diverse aree ricche europee, nella svendita, che è già iniziata, di beni e servizi unici al mondo. E l’Euro cavallo di Troia non riesce più a essere portato fuori dal villaggio fortificato, che è assediato dall’esterno; ma che è anche vittima di scontri civili provocati dagli stessi “militari”, usciti dal cavallo, mescolatisi tra la gente e talvolta già arrivati nelle poltrone di un potere che per “necessità” è stato loro delegato.

E’ quindi una guerra senza nomi; che utilizza solo l’ignoranza e le dabbenaggine di sistemi pseudo liberali, nel nome di un internazionalismo capitalistico, che si è trasformato in assalto predatorio contro Paesi, genti, storie e culture.

E’ una guerra mondiale; il teatro prevalente dello scontro oggi è in Europa; ma con lo stesso metodo di lavoro essa potrà essere esportata dovunque. E’ una guerra senza fine, se le leggi dei sistemi liberali non definiranno con chiarezza i limiti delle libertà economiche e anche di quelle geo-politiche; la vita e il futuro di miliardi di persone non possono essere affidati alla cultura e alla pratica del far finta di nulla.

Cosa fare? Intanto “fare” e non “lasciar fare”; il “fare” sarebbe già qualcosa nei confronti di questo nemico invisibile, che tuttavia potrebbe essere facilmente individuato e localizzato; la speculazione finanziaria non viene dal cielo e ha suoi percorsi; può essere sempre intercettata, anche nei viottoli più sperduti del mondo dei soldi.

Nel suo “Eloge des frontières”, un noto filosofo francese, Regis Debray, ha lanciato una provocazione assai suggestiva; ha finto la tesi del “nazionalismo”, per dire solo che le persone e i popoli hanno una loro identità da difendere e da sviluppare, senza becere e inopportune interferenze esterne. Di questa loro identità fa parte anche la moneta che usano per i loro scambi materiali; partita dal baratto, passata attraverso l’uso di oggetti considerati pregiati e finita come carta di impegno, senza valore materiale, equiparabile a un “pagherò”, trasformato in “pago”. E’ sbagliato appiattire una moneta artificiale su sistemi economici profondamente diversi, intricati e complessi, solo per interessi della moneta-merce.

L’Euro partì grosso modo con lo stesso valore del dollaro; cioè l’Europa disse che Stati Uniti ed Europa potevano avere un sistema monetario di valore comparabile. La Germania poi, completata la faticosa e costosa riunificazione, anche con la collaborazione della eurozona, spinse per tornare ad avere una moneta rivalutata rispetto al dollaro; spinse per avere insomma un “euromarco”, per un’eurozona più ricca degli Usa; non ce la fece del tutto (il disegno, si dice, prevedeva una rivalutazione dell’euro del 60% ed arrivò a punte del 50%), ma riuscì a mettere così in crisi tutti i Paesi meno ricchi e indebitati, a cominciare da quelli del Sud, che da sempre considerano l’America un miraggio e non un’area più povera di quella in cui vivono.

L’euromarco, volente o nolente (per ora non si sa) dette una mano formidabile agli speculatori nemici dell’Europa. Di fatto avviò un’altra guerra mondiale, attraverso le sale borse, europee e non.

E allora fare cosa? Innanzitutto riprendere in mano la questione sotto l’aspetto politico e non tecnico; costruire un progetto politico contro questa guerra, che l’Italia deve “ripudiare”. Sapere dire di no alle richieste impossibili per il nostro Paese e per l’Europa stessa. Accettiamo pure la sfida continua delle agenzie di rating e delle minacce “borsaiole” e teniamo la testa alta, con misure e fatti concreti, nazionali e internazionali; facciamola finita con questo senso di colpevolezza sul passato e sul passato remoto della nostra “politica”; se fosse solo per questo, tutti gli altri Paesi del mondo (o quasi) dovrebbero averne più di noi.

A un alto dirigente dello Stato italiano, più di venti anni fa, un grande giornale chiese cosa pensasse di un giudizio negativo espresso da Moody’s sull’Italia egli rispose: “Moody’s? Di chi è Moody’s?”. Già di chi sono Moody’s e le sue “potentissime” sorelle?