Contro la speculazione finanziaria occorre smarcarsi dall’euromarco
26 Luglio 2012
E’ iniziata una nuova guerra mondiale. Le guerre di un volta si facevano con armi ed eserciti, per conquistare terre e popoli; dominarli e divenire più potenti, ma soprattutto più ricchi. Ora, invece, in gran parte del mondo, ricchezza e potere si prendono attraverso la finanza e i suoi strumenti. Il caso greco è significativo: la Grecia viene fatta fallire e così non restituirà una parte dei soldi che ha avuto in prestito; i creditori cercheranno di dividersi le spoglie del Paese; e hanno già cominciato a farlo; prenderanno Banche, patrimoni immobiliari, aziende, infrastrutture e via dicendo; la Grecia comincerà a non essere più dei greci.
Ci sarà qualche morto, schiantato dalle pene della povertà o della disperazione; ma poca roba, rispetto alle vecchie guerre. Questo esempio vale per tutto quello che stiamo vivendo oggi in Europa. La moneta unica è stata il cavallo di Troia, per poter scatenare l’assalto alle economie più deboli, ma non solo a quelle; attraverso loro, anche al potere economico dell’intero vecchio continente, in casa propria e nel mondo.
Non ha senso pensare che i Paesi europei del Sud falliscano tutti; trascinerebbero nel disastro anche quelli del Nord, se non fosse altro, per il forte interscambio della bilancia dei pagamenti e di quella commerciale esistente tra tutti i Paesi della vecchia Europa. Il disegno di questa guerra è diverso; viene da lontano, non ha bandiere ed è manovrato da poteri finanziari trasversali, per interessi (proprietà dei capitali messi in gioco ) e per loro origine geo-politica (Usa, Cina, Brics, Paesi petroliferi o riciclaggi vari).
Il disegno è accumulare patrimoni, con i quali acquisire il controllo economico e poi politico delle diverse aree ricche europee, nella svendita, che è già iniziata, di beni e servizi unici al mondo. E l’Euro cavallo di Troia non riesce più a essere portato fuori dal villaggio fortificato, che è assediato dall’esterno; ma che è anche vittima di scontri civili provocati dagli stessi “militari”, usciti dal cavallo, mescolatisi tra la gente e talvolta già arrivati nelle poltrone di un potere che per “necessità” è stato loro delegato.
E’ quindi una guerra senza nomi; che utilizza solo l’ignoranza e le dabbenaggine di sistemi pseudo liberali, nel nome di un internazionalismo capitalistico, che si è trasformato in assalto predatorio contro Paesi, genti, storie e culture.
E’ una guerra mondiale; il teatro prevalente dello scontro oggi è in Europa; ma con lo stesso metodo di lavoro essa potrà essere esportata dovunque. E’ una guerra senza fine, se le leggi dei sistemi liberali non definiranno con chiarezza i limiti delle libertà economiche e anche di quelle geo-politiche; la vita e il futuro di miliardi di persone non possono essere affidati alla cultura e alla pratica del far finta di nulla.
Cosa fare? Intanto “fare” e non “lasciar fare”; il “fare” sarebbe già qualcosa nei confronti di questo nemico invisibile, che tuttavia potrebbe essere facilmente individuato e localizzato; la speculazione finanziaria non viene dal cielo e ha suoi percorsi; può essere sempre intercettata, anche nei viottoli più sperduti del mondo dei soldi.
Nel suo “Eloge des frontières”, un noto filosofo francese, Regis Debray, ha lanciato una provocazione assai suggestiva; ha finto la tesi del “nazionalismo”, per dire solo che le persone e i popoli hanno una loro identità da difendere e da sviluppare, senza becere e inopportune interferenze esterne. Di questa loro identità fa parte anche la moneta che usano per i loro scambi materiali; partita dal baratto, passata attraverso l’uso di oggetti considerati pregiati e finita come carta di impegno, senza valore materiale, equiparabile a un “pagherò”, trasformato in “pago”. E’ sbagliato appiattire una moneta artificiale su sistemi economici profondamente diversi, intricati e complessi, solo per interessi della moneta-merce.
L’Euro partì grosso modo con lo stesso valore del dollaro; cioè l’Europa disse che Stati Uniti ed Europa potevano avere un sistema monetario di valore comparabile. La Germania poi, completata la faticosa e costosa riunificazione, anche con la collaborazione della eurozona, spinse per tornare ad avere una moneta rivalutata rispetto al dollaro; spinse per avere insomma un “euromarco”, per un’eurozona più ricca degli Usa; non ce la fece del tutto (il disegno, si dice, prevedeva una rivalutazione dell’euro del 60% ed arrivò a punte del 50%), ma riuscì a mettere così in crisi tutti i Paesi meno ricchi e indebitati, a cominciare da quelli del Sud, che da sempre considerano l’America un miraggio e non un’area più povera di quella in cui vivono.
L’euromarco, volente o nolente (per ora non si sa) dette una mano formidabile agli speculatori nemici dell’Europa. Di fatto avviò un’altra guerra mondiale, attraverso le sale borse, europee e non.
E allora fare cosa? Innanzitutto riprendere in mano la questione sotto l’aspetto politico e non tecnico; costruire un progetto politico contro questa guerra, che l’Italia deve “ripudiare”. Sapere dire di no alle richieste impossibili per il nostro Paese e per l’Europa stessa. Accettiamo pure la sfida continua delle agenzie di rating e delle minacce “borsaiole” e teniamo la testa alta, con misure e fatti concreti, nazionali e internazionali; facciamola finita con questo senso di colpevolezza sul passato e sul passato remoto della nostra “politica”; se fosse solo per questo, tutti gli altri Paesi del mondo (o quasi) dovrebbero averne più di noi.
A un alto dirigente dello Stato italiano, più di venti anni fa, un grande giornale chiese cosa pensasse di un giudizio negativo espresso da Moody’s sull’Italia egli rispose: “Moody’s? Di chi è Moody’s?”. Già di chi sono Moody’s e le sue “potentissime” sorelle?