Costruire un nuovo futuro è responsabilità degli aquilani
23 Gennaio 2010
Vacanze di Natale a L’Aquila, le prime dopo il terremoto del 6 aprile. In un periodo in cui l’emergenza delle tendopoli è finita e tutti sono sotto un tetto, ma la situazione emergenziale di una città ancora da ricostruire segna la vita quotidiana di ognuno. In una comunità in cui la speranza per quanto fatto finora convive con l’incertezza per quello che c’è ancora da fare. Vacanze di Natale a L’Aquila è fare 15 minuti di fila alla multisala Movieplex di Pettino, riaperta da poco tempo, per vedere un film il pomeriggio di Santo Stefano, come in una qualsiasi città italiana. E’ l’amico di Pettino che ti dice che si sposa il prossimo luglio, perché la vita va avanti e tra tante incertezze e difficoltà si cerca di mettere dei punti fermi e felici. E’ l’inaugurazione del nuovo Conservatorio, ultra moderno e funzionale, costruito in 40 giorni a Colle Sapone.
E’ la cena a casa con gli amici a base di bruschette, agnello e salsicce cotte alla brace, perché non bisogna perdere le buone abitudini. Sono gli abeti piantati e addobbati nei cortili delle nuove C.A.S.E., e le luci natalizie messe ai balconi di appartamenti da poco abitati, per far sentire come case vere quelle che fino a poche settimane fa erano ancora cantieri. E’ la partita a carte giocata al freddo nella cantina della casa di un amico perché è l’unica parte dell’edificio agibile. E’ l’ex tendopoli di Centi Colella trasformata in pista di pattinaggio sul ghiaccio. E’ il presepe vivente del paesino di Camarda fatto anche quest’anno, fuori dal centro storico inagibile, o quello di Vigliano o di Castelvecchio, affollati di visitatori. E’ il tradizionale mercatino della Befana fatto quest’anno ai bordi del centro storico invece che dentro, intorno al parco del Castello, con le bancarelle a ridosso degli edifici chiusi e puntellati quasi a trasmettere loro un po’ di vita, e migliaia di aquilani in giro nonostante il percorso ridotto e la pioggia.
Ma è anche fare il cenone di Natale nella caserma di Coppito, insieme ad altre centinaia di persone, perché si vive ancora lì in attesa della consegna delle ultime C.A.S.E. E’ passare l’inverno negli alberghi a decine di chilometri da L’Aquila perché casa propria è ancora da ristrutturare, e sono ormai nove mesi che 9.000 aquilani vivono da ospiti invece che da padroni di casa. E’ andare al centro dell’Aquila di sera e vederlo completamente buio e deserto, un buco nero che ingoia vita, ricordi, speranza. E’ la mattina aprire il Centro, il quotidiano locale dell’Abruzzo, e leggere che la Casa dello Studente è crollata anche perchè mancava un pilastro e che la magistratura ha indagato decine di persone.
Il 24 dicembre, 2.000 persone erano dentro la basilica di Collemaggio, e centinaia fuori sotto la pioggia, per la messa di mezzanotte celebrata tra le colonne imbracate dalle impalcature, sotto il tetto provvisorio di acciaio. Una basilica dal corpo squarciato e bendato, come un ferito grave appena medicato, pieno di punti e suture che si spera la guarigione porterà via. Così è L’Aquila, una persona malridotta ma salva da un grave incidente, che zoppica ma cammina, che ha un braccio ingessato ma con l’altro lavora, che ha la mascella rotta ma ogni tanto sorride.
Per vedere la ferita peggiore nel corpo della città basta fare una passeggiata per il centro storico. Lasciare la macchina alla Villa Comunale, e andare a piedi per il Corso dove le luci natalizie sono state tese tra una impalcatura e l’altra perché è pur sempre Natale. Prelevare i soldi alla cassa di risparmio che ha riaperto gli sportelli di Corso Federico dietro le transenne, e prendersi un caffè al Bar Nurzia a Piazza Duomo, di nuovo aperto nello storico edificio ora fasciato da tiranti metallici. Andare per i Quattro Cantoni e San Bernardino fino al ridotto del Teatro Comunale, a comprare i biglietti per il prossimo spettacolo che si farà lì, nella parte di teatro agibile. E poi camminare fino a Via Garibaldi all’incrocio con la Fontana Luminosa, a comprare un giornale in edicola e una ricarica telefonica in tabaccheria. La tabaccheria, l’edicola, il teatro, il bar, la banca, assieme a un’ottica e a un ferramenta, sono le poche, rare, tenaci, coraggiose, isole di normalità in quel mare surreale di edifici inagibili e vicoli chiusi che è il centro storico. Dove tra transenne e ponteggi il rumore della risacca è quello del passare di un camioncino carico di pietre, del battere di un martello, del ronzio di un trapano, dei cento dialetti italiani e stranieri degli operai al lavoro qua e là. Isole che formano una rotta obbligata per chi vuole rivedere L’Aquila, lungo la quale capita di incontrare per caso un conoscente che non si vedeva da mesi, e di scambiarsi così gli Auguri con un aria strana, come può essere strano dirsi “Buon Anno” in mezzo agli edifici della propria città disabitati e pieni di crepe. Una rotta costruita negli ultimi mesi lentamente, metro dopo metro, man mano che un edificio veniva certificato agibile e un pezzetto di strada messo in sicurezza e riaperto ai pedoni. Una rotta circondata da vie impraticabili, da edifici sì messi in sicurezza ma che se lasciati così esposti al maltempo rischiano di danneggiarsi ancora di più.
Il problema quindi ora è dare un approdo a questa rotta, cioè una direzione, una coerenza, e soprattutto una tabella di marcia certa e serrata alla ricostruzione del tessuto urbano, economico e sociale, ricostruzione che non può procedere lentamente o a tentoni pena il declino o lo sfiguramento della città. Ricostruire soltanto “com’era e dov’era” o innovare il paesaggio urbano dell’Aquila, ad esempio con l’auditorium progettato da Renzo Piano nel parco del Castello cinquecentesco? Riportare il cuore amministrativo dentro le mura o andare verso una “città-territorio” policentrica? Come evitare che i 19 complessi abitativi del progetto C.A.S.E. realizzati a tempo di record fuori città diventino dei quartieri dormitori? Si farà davvero la zona franca, potenzialmente un grande volano di sviluppo economico, e come, dove, quando? Come accelerare la “ricostruzione leggera” delle case solo parzialmente danneggiate, per cui sono state presentate 9.000 domande ma sono state approvate e finanziate solo poche centinaia? Quanti soldi servono davvero oltre quelli già stanziati, e chi li mette a disposizione? Cosa fare quando finiranno le esenzioni fiscali per i terremotati prorogate fino a giugno 2010?
Il problema è anche chi e come deve guidare questa nuova fase della ricostruzione. La gestione della prima fase dell’emergenza accentrata nelle mani della Protezione Civile ha dato buoni risultati: sono state costruite bene e in fretta case vere per 11.200 sfollati, più moduli abitativi in legno per altri 1.400; sono state fatte strade e rotonde e adeguata la viabilità alla nuova realtà urbana; sono state realizzate in tempo per l’anno scolastico scuole per tutti. Un’opera di ricostruzione che sarebbe stata impossibile se soggetta agli infiniti dibattiti dei consigli di circoscrizione dediti all’interesse particolaristico piuttosto che a quello generale, o ai miopi veti dei comitati imbevuti dell’ideologia del “no” a ogni modernizzazione e cambiamento. Un’opera di ricostruzione grazie alla quale, a nove mesi dal terremoto e con le tendopoli chiuse in autunno, “solo” il 16% dei 64.391 sfollati di aprile è ancora alloggiato in albergo o in caserma, mentre l’84% ha una casa.
Ma ora le scelte sul futuro dell’Aquila, su come ricostruire e dove posizionare i gangli vitali del tessuto sociale, necessiterebbero l’elaborazione di una visione condivisa da parte degli enti locali democraticamente eletti, dai comuni alla provincia alla regione, in cooperazione ovviamente con governo e protezione civile. I rappresentanti degli aquilani dovrebbero assumersi la responsabilità di pensare e costruire il futuro della loro società. Secondo la tradizione L’Aquila fu fondata da 99 castelli del contado che volevano fare una nuova, grande, libera e prospera città. Lo fecero, insieme. Una lezione da ricordare per la classe dirigente di oggi.