Cringe Generation
01 Febbraio 2025
“A professò, ma che sta a dì, che roba è? Cringe totale”. E così, all’improvviso, l’insegnante che ha passato una vita sul Castiglioni Mariotti si ritrova vittima di una bordata lessicale degna degli alleati durante la seconda guerra mondiale. Cringe. Cringe totale. Lo dicono i diciottenni a Roma, lo ripetono i loro coetanei da New York a Pechino. È lo slang globale, bellezza. Un gergo nato da social network, meme e spietata selezione naturale che elimina ogni termine troppo lungo, poco orecchiabile o non abbastanza cool (anzi, pardon, drip).
Dal punk al cringe qualcosa è cambiato
Ed è in quel momento che il prof — sì, proprio lui che correggeva il po’ con l’accento alzando severamente il sopracciglio — scopre di essere tornato studente. Perché le aule scolastiche e universitarie, ormai, offrono piccoli manuali di sopravvivenza lessicale. Il linguaggio cambia, lo sappiamo, e ogni generazione ha il suo codice. D’estate in provincia aspettavamo gli amici che tornavano da Londra per scoprire cos’era il punk. Ma stavolta forse sta accadendo qualcosa di diverso.
Lo slang giovanile non è più solo un vezzo, un gioco di parole per fare gli out of the box. Il prof si rende conto di avere davanti un’intera architettura semantica costruita per dare senso a un mondo che per i suoi studenti (e non solo per loro) ha praticamente smesso di averne uno. Lo slengo è il termometro di un’epoca in cui la fiducia nelle istituzioni in mano agli adulti è evaporata come una bibita sgasata, dove non si vedono nuove Woodstock rivoluzionarie all’orizzonte. Se mai una società che non offre più questo grande sogno americano progressivo e condiviso, in cui tutto appare precario, instabile, in bilico tra un tiktokata e l’altra.
Quella zia con le orecchie da coniglio su Instagram
E allora ecco, “mi ha ghostato” (nelle relazioni sentimentali, sparire nel nulla senza spiegare perché), “flexare” (sfoggiare, vantarsi, ma sempre con un’ombra di ridicolo), “drippare” (grondare stile come Lady Gaga). E poi c’è cringe, il concetto che racchiude tutto il disagio giovanile contemporaneo. Non si tratta solo di imbarazzo. È qualcosa di più profondo. Quella stridente sensazione di vergogna esistenziale che i più giovani provano quando scoprono che la zia cinquantenne si è iscritta su Instagram iniziando a postare video con i filtri delle orecchie da coniglio. Il disagio puro di un mondo in cui i vecchi si ostinano a usare un linguaggio che non è il loro.
Perché lo slang, diciamolo, non è democratico. È una muraglia, una linea del piave lessicale che separa i giovani dai vecchi, il nuovo dall’antico, il qui e ora dall’anacronistico. Ragazze e ragazzi ne sono perfettamente consapevoli. Siamo noi quelli che arrancano, provando a infilarsi in conversazioni dove veniamo subito sgamati. Inutile fingere: si sente che siamo fuori tempo massimo.
Manuale di sopravvivenza per boomer che non si arrendono
Eppure, questa lingua mutevole come il meteo è affascinante. Una sintesi perfetta di inglese, pop e autoironia. Per cui, cari professori, ecco il consiglio: ascoltate. Lasciate che siano gli studenti a insegnarvi la grammatica del presente. Non servirà a diventare madrelingua, questo è certo. Ma almeno, alla prossima bordata “ok boomer”, saprete rispondere senza sembrare (troppo) cringe.