Dalla classe politica è lecito attendersi una maggiore responsabilità
16 Ottobre 2010
di Paolo Rossi
“Guerre di pace italiane”, ovvero come l’abitudine di fornire una visione quanto più politically correct possibile all’opinione pubblica costituisca un serio rischio per l’incolumità dei nostri militari dispiegati nei diversi teatri operativi. Di questo, con un focus particolare sulla guerra afgana, parliamo con Gianandrea Gaiani, direttore del web-magazine Analisi Difesa (www.analisidifesa.it), giornalista di punta de Il Sole 24 Ore e Il Foglio, nonché autore, guarda caso, del volume “Iraq-Afghanistan: Guerre di pace italiane”.
I caveat nazionali alle regole d’ingaggio e l’equipaggiamento delle nostre truppe possono rappresentare un elemento di vulnerabilità per i nostri soldati sul campo di battaglia in Afghanistan? Se sì, è anche il caso dei 4 alpini rimasti uccisi recentemente?
Riguardo alle regole d’ingaggio bisogna dire che esse sono comuni a tutta la coalizione mentre i “caveat” rappresentano appunto una limitazione all’utilizzo di mezzi e/o armi che sono regolarmente in dotazione alle forze armate italiane. Il divieto di equipaggiare con missili e bombe rappresenta uno di questi caveat. Non solo, appare paradossale che in un momento stagnante per l’economia nazionale si siano spesi per l’aggiornamento dei nostri aerei Tornado e AMX, oltre 200 milioni di euro e poi quei mezzi non possono essere adoperati in quelle missioni in cui sarebbero necessari a garantire la sicurezza del nostro contingente. Stesso discorso dicasi per il dispendioso acquisto delle Small Diameter Bomb (SDB) bombe a basso potenziale, di produzione Boeing, le quali sarebbero utili proprio in condizioni operative come quelle afgane. Nel caso dell’ultimo attacco agli alpini però non ci sono recriminazioni da fare circa i mezzi in dotazione. I VTLM Lince hanno resistito contro la gran parte degli ordigni talebani grazie alla loro blindatura antimina ma questa volta, contro un ordigno ad alto potenziale, la protezione ad hoc non è bastata. Ma neanche i carri armati da sessanta tonnellate sono invulnerabili.
Come valuta finora la condotta del Ministro della Difesa, Ignazio La Russa?
Purtroppo, l’opinione pubblica occidentale ha un influenza su questioni di carattere politico-militare più o meno rilevante sui singoli governi nazionali, mentre tali questioni andrebbero discusse nelle sedi opportune. Anche su questo c’è una grande ipocrisia della classe politica che sembra distante dalla realtà dei combattimenti in Afghanistan e dalle esigenze belliche dei soldati. Quanto al ministro La Russa, da un lato, va dato atto fin dal suo insediamento della sua trasparenza circa le decisioni di carattere militare, cosa che per contro non accadeva nell’ultimo governo Prodi. Dall’altro, quelle affermazioni rilasciate dal Ministro all’Annunziata durante la trasmissione In ½ Ora “Di fronte a quello che sta accadendo, non me la sento più di prendere questa decisione da solo e chiedo alle Camere di decidere” sono una dimostrazione di incertezza che non dovrebbe proprio risiedere nel background di un Ministro della Difesa. Anche in considerazione del fatto che il ritorno in patria dei jet Tornado tedeschi lascia all’Italia il ben poco prestigioso record di unico Paese tra quelli che schierano aerei da guerra in Afghanistan a non consentire l’impiego di armi di bombe e missili. Dopo l’inconcludente dibattito parlamentare La Russa ha dichiarato che deciderà lui il da farsi ma non prima del vertice Nato di Lisbona del 19 e 20 novembre. Altro tempo sprecato.
Da parte dell’opposizione sull’argomento è intervenuto soprattutto Piero Fassino.
Fassino nel confronto televisivo con il Ministro della Difesa, ha ricordato il ruolo del italiano nelle alleanze internazionali, invitando la politica a guardare i fatti piuttosto che l’arroccarsi su posizioni pregiudiziali, chiamando anche il suo elettorato a responsabilizzarsi in materia di politica estera. Un discorso da statista, salvo poi il giorno seguente costringere tutto il suo entourage, nonché quello del PD, a un tour de force per smentire o precisare le sue affermazioni che hanno scatenato nella sinistra grandi polemiche, anche in quella che semestralmente vota la missione italiana in Afghanistan, ritenendo che armare gli aerei porti a un’escalation che sposterebbe l’Italia dalla “missione di pace” alla partecipazione a una guerra. Che laggiù si combatta lo sanno però tutti ma nessun politico si lamenta quando i nostri soldati caduti in imboscate vengono salvati dalle bombe dei jet alleati, cosa che accade quasi ogni giorno.
Infine una riflessione sulla politica di Obama, in vista delle elezioni di midterm del 2 novembre, circa l’ Afghanistan?
L’Amministrazione Obama versa in condizione di debolezza, perde i pezzi ed è dilaniata dalle critiche degli ambienti militari, prova ne è il tentativo di limitare/imbavagliare i comandanti militari. Questa è l’ennesima dimostrazione di come ci sia nei fatti un sostanziale misunderstanding tra Obama e i militari che rimproverano al presidente confusione strategica e titubanze. Il caso della rimozione del generale Stanley A. McChrystal da comandante in capo in Afghanistan ne è solo l’ultima testimonianza. Da un punto di vista strategico Obama ha demolito tutti i successi conseguiti e dalla precedente amministrazione repubblicana e con essi anche la credibilità militare degli Stati Uniti. L’exit strategy di Obama sembra focalizzarsi sull’”onorevole ritiro”, mentre quella di George W. Bush era racchiusa in una frase “La nostra exit strategy è la vittoria”.