Diritti: questioni antropologiche e vecchi stereotipi
26 Ottobre 2022
La battaglia è cominciata il 13 ottobre, primo giorno di legislatura e di era Meloni, quando il senatore Maurizio Gasparri ha depositato un disegno di legge sulla “Capacità giuridica del concepito”, un legato “ereditato” dal Movimento per la vita di Carlo Casini: lo aveva fatto anche all’inizio della precedente legislatura, ma ci avevano fatto caso in pochi, mentre stavolta l’attenzione per le paventate svolte della maggioranza di centrodestra sul tema dei “diritti” è molto alta; e infatti la polemica si accende immediatamente… ed è subito Medioevo.
Si quieta un momento, ma per rianimarsi subito all’annuncio che Eugenia Roccella, figura di spicco del mondo prolife e del Family day ruiniano (era la pugnace sottosegretaria alla salute durante la vicenda Englaro, nel 2009) è il nuovo Ministro della famiglia della natalità e pari opportunità. Roccella chiarisce subito che la legge sull’aborto non rientra nelle sue competenze, e Giorgia Meloni nel discorso di presentazione alla Camera garantisce che la legge 194 non sarà toccata, benché qualcuno dell’opposizione poi asserisca he lei l’ha detto ma loro non ci credono, ragion per cui nella replica Meloni rigetta energicamente anche solo il sospetto di doppiezza tra le sue parole e il suo operato.
D’altronde il tema della possibilità legale di abortire è fortemente, anzi ferocemente divisivo in tutto l’occidente. Da una parte c’è l’imperativo etico della “difesa della vita dell’individuo della specie umana dal concepimento alla morte naturale”, dall’altra il principio dell’autodeterminazione e della libera scelta in tutti gli aspetti che riguardano la gestione del corpo, dalla gestazione, all’identità sessuale, alla morte. Si tratta di due visioni rispetto alle quali è difficile trovare non solo qualche punto d’incontro, ma anche un terreno in cui almeno ascoltare e capire le posizioni dell’altro.
Poi magari nella vita delle persone le cose non sono sempre così nette, e nelle scelte drammatiche che ci si trova ad affrontare davanti alla vita e alla morte le zone grigie e i dubbi sono più frequenti di quanto le contrapposizioni ideologiche non lascino immaginare. Ma resta che tutta questa galassia, che da qualche tempo è diventata centrale nel dibattito pubblico – con la nota conseguenza della rimozione progressiva dei temi sociali dall’agenda politica della sinistra – dal punto di vista argomentativo poggia su basi vicendevolmente non riconosciute.
L’etica e la bioetica sono per loro natura controverse e discutibili, ossia alla lettera oggetto di discussione tra opinioni diverse. Un aiuto maggiore potrebbe venire da discipline come l’embriologia o la neonatologia, ma, posto che la conoscenza delle scienze generalmente non è il punto forte della nostra formazione, c’è da considerare che l’accertamento del dato biologico non è più ritenuto dirimente ai fini della libera autocostruzione del soggetto, come si vede anche nelle discussioni su sesso e genere.
Al terzo livello dell’argomentazione, che però è il più basso, resta in piedi la risorsa del ritorno al medioevo, sempre imminente ogni volta che si affronta un argomento valoriale. Ecco, su questo sarei più tranchant e meno propenso a scavare nei recessi. Passi per l’incertezza dello statuto epistemologico dell’etica e della bioetica, passi per la frattura ormai acquisita dal pensiero postmoderno tra soggettività e dato biologico, ma santiddio che il Medioevo non sia l’età oscura della nostra civiltà ormai c’è scritto anche nei libri delle medie e in quelli allegati ai quotidiani: non c’è più bisogno di ricorrere al samizdat come succedeva ancora cinquant’anni fa, quando – per dire – Lumières du Moyen âge di Régine Pernoud era un libro per cerchie di iniziati. È rimasto un masso erratico, un relitto tardo ottocentesco, insomma uno stereotipo di cui potremmo tranquillamente fare a meno.