Dopo la crisi georgiana spetta all’UE mediare tra Washington e Mosca

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Dopo la crisi georgiana spetta all’UE mediare tra Washington e Mosca

06 Settembre 2008

L’intervento militare della Russia, il riconoscimento dell’Ossezia del sud e dell’Abkhazia fanno parlare del nazionalismo russo. Come se fosse un fenomeno politico nuovo e solo Angelo Panebianco ha ricordato sul Corriere il 24 agosto che il nazionalismo era presente anche nell’Urss e neppure le democrazie ne sono immuni. Dopo la seconda guerra mondiale, il nazionalismo è stato espulso dalla  politica estera e associato unicamente a regimi come il fascismo e il nazismo. Quando nella politica occidentale si parla di interesse nazionale per definire l’attaccamento al proprio paese, si usa il termine “patriottismo”, considerata un’ideologia più nobile e democratica rispetto al “nazionalismo”. Per Jonathan C. D. Clark, che nel 1985 ha rivisto l’interpretazione whig della storia inglese con English Society 1688-1832, lo stereotipo che stabilisce una netta diversità tra patriottismo e nazionalismo è superficiale. Storicamente, per Clark, il “patriottismo” è stato associato a un’etica pubblica superiore, che comporta l’adesione al protestantesimo, la lotta alla corruzione e una politica internazionale basata sul potere navale, mentre il “nazionalismo” è considerato un fenomeno continentale, legato a fattori etnici, alla religione, al potere industriale e collegato poi al fascismo e al nazismo. In ogni caso, di solito preferiamo definire  patriottismo l’attaccamento alla nostra nazione, mentre applichiamo il termine nazionalismo ai paesi da cui ci siamo sentiamo minacciati.

L’intellighenzia ha ignorato il nazionalismo sovietico fino alla fine dell’Urss e denunciava come nazionalista e fascista perfino il tricolore e la parola patria. Ugo Spirito, che visitò l’Urss nel 1956 e la Cina nel ‘60, percepì immediatamente la differenza tra il comunismo dei partiti comunisti occidentali, orientati a far godere i proletari dei beni di consumo borghesi senza alcun senso dell’interesse generale, e il comunismo russo e cinese con un forte senso dell’interesse nazionale. Nel suo ufficio Stalin non teneva i ritratti di Marx e Lenin, ma quelli dei grandi generali zaristi, perché la guerra per respingere l’invasione dell’Asse era stata intesa dai russi come una guerra patriottica ed era l’idea dell’impero a sorreggere l’Urss, l’orgoglio di avere mandato il primo uomo nello spazio e di potere gareggiare con gli Stati Uniti. Il risultato della rivoluzione cinese era stato l’unificazione nazionale della Cina, in passato aperta a tutte le invasioni. Nel ‘900 il “terzo mondo” ha vissuto dei fenomeni “risorgimentali” e l’ideologia anticapitalista e antioccidentale ha avuto la funzione di compattare questi paesi. La vittoria del Vietnam contro gli Stati Uniti non è stata solo il successo di un popolo che aveva combattuto contro francesi, giapponesi e americani e aveva vinto, ma anche, sotto il profilo geopolitico, il rifiuto – come sostiene Immanuel Wallerstein – dello status quo di Jalta, un rifiuto condiviso da parte di popolazioni come i cinesi e gli indiani allora etichettate come “terzo mondo” e ora nazioni ambiziose alla ribalta sul nuovo scenario internazionale, come ha scritto un anno fa Robert Kagan in End of dreams.

 

La reazione di Putin obbliga a decidere quale politica scegliere nei confronti della Russia, scelta difficile perché – come pare affermerebbero alcuni documenti dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea) pubblicati da Der Spiegel – sembrerebbe essere stata la Georgia ad avere pianificato da  lungo tempo l’aggressione  dell’Ossezia del sud. Dato l’interesse tedesco in Gazprom è difficile capire come effettivamente si siano svolte le cose, così come è chiaro che un intervento della Nato contro Mosca non è facilmente immaginabile da un’Unione europea che non ha deciso neppure le sanzioni ai russi. Come ha osservato Ostellino, l’Europa non corre alcun rischio di invasione da parte dei russi, i quali temono semmai di essere accerchiati dall’Occidente attraverso l’adesione delle ex-repubbliche sovietiche alla Nato e si sentono minacciati dallo scudo antimissile in Polonia. L’Europa dipende energicamente dalla Russia e questo, sommato alla mancanza di una valida difesa militare, le toglie peso per giocare un ruolo diplomatico tra Stati Uniti e Russia, ma forse un aiuto potrebbe venire dalla sua storia e cultura.

 

Max Gallo ha osservato recentemente che per comprendere il nuovo secolo è meglio guardare all’800 e non al ‘900. Nel 1901 alla morte della regina Vittoria, l’ultima Hannover, sposata con Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, con una figlia Vicky regina di Prussia e l’altra, Alice, moglie dello zar Nicola II di Russia, pochi avrebbero immaginato che in soli vent’anni gli equilibri europei sarebbe stati completamente stravolti. La rivoluzione bolscevica in Russia, la fine degli imperi centrali in  Germania e Austria e un ventennio di tensioni culminate nella seconda guerra mondiale hanno portato all’uscita dell’Europa dalla storia del mondo. Eppure per secoli l’Europa è riuscita a controllare i conflitti dell’Occidente e catastrofi come quella della seconda guerra mondiale sono paragonabili solo alle guerre di religione del ‘600. La stessa Inghilterra hannoveriana, iniziata con Giorgio I, incapace di dire una sola parola in inglese e felice solo in Germania nel suo regno di Hannover, rigorosamente ancien régime, non considerava l’Europa “abroad” come la Thatcher. Se pensiamo alla regina Vittoria definita la nonna di un’Europa che andava dall’Atlantico agli Urali, forse dovremmo raccogliere l’invito di Max Gallo a guardare all’Ottocento.

 

La guerra fredda, la semiguerra civile italiana, il terrorismo del ‘900, ci hanno abituato a pensare l’Urss come uno paese non occidentale, anche se la Russia fa parte dell’Europa e ora non è più comunista. Dovrebbe essere un impegno dell’Unione Europea non solo mediare per gli interessi energetici, ma per fare capire a Stati Uniti e Russia che la lotta contro il terrorismo di al Qaeda, una rete transnazionale, dotata di fondi e capace di colpire dovunque, a New York come a Mosca, rimane la principale priorità. Nonostante i duri botta e risposta di Russia e Stati Uniti, il corridoio russo dal quale transitano le forze della Nato in Afghanistan non è stato chiuso e sappiamo quanto sia critica la situazione dall’Afghanistan al Pakistan in questo momento. Come ha osservato il ministro Frattini sottovalutare la Russia, considerarla un mero fornitore energetico è stato un errore e l’Occidente deve porsi l’obiettivo del dialogo e di un nuovo negoziato. Con tante nazioni ormai dotate di bomba atomica, una nuova guerra fredda sarebbe un regalo che non possiamo permetterci a quel terrorismo globale che imperversa sgozzando e massacrando occidentali dall’Africa settentrionale all’India al Medio Oriente.