Elezioni europee. Due modifiche per cambiare in meglio la legge elettorale
17 Giugno 2008
di Ida Nicotra
La modifica della legge elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo rappresenta per l’Italia una necessità ed una opportunità insieme. E’ indispensabile, infatti, rivedere il metodo di elezione per adeguare la disciplina nazionale al limite posto con l’Atto di adesione della Romania e della Bulgaria, firmato il 25 aprile del 2005. Tale atto dispone che il numero massimo di membri del Parlamento Europeo non potrà essere superiore a 736. Si introduce, così, anche una diversa ripartizione dei rappresentanti eletti in ogni Stato membro a partire dall’inizio della legislatura 2009 – 2014.
La riscrittura della legge per il voto europeo costituisce, inoltre, l’occasione per offrire un sigillo al sistema bipartitico che è nato dalle urne lo scorso aprile. Se i partiti, attraverso aggregazioni virtuose, ed i cittadini, con la scelta del “voto utile”, hanno fatto la loro parte, consentendo la nascita di un sistema politico semplificato ed efficiente, con due grandi aggregazioni una che governa e l’altra che fa opposizione, ora spetta al legislatore operare una definitiva razionalizzazione del panorama politico italiano.
Nell’ambito di un modello elettorale di tipo proporzionale l’introduzione di una soglia di sbarramento significativa (4% – 5%) può rappresentare la cifra per segnare una discontinuità con il passato in cui i partiti nanetti, raccogliendo un consenso minimo, riuscivano ad ostacolare l’attuazione del programma politico della maggioranza chiamata dai cittadini a governare.
Condivido l’opinione di Gaetano Quagliariello che non manca di sottolineare la differente natura del voto comunitario da quello politico, ma il ruolo sempre crescente che il Parlamento europeo ha acquistato dal Trattato di Maastricht in poi, gli conferisce oggi un potere decisionale non indifferente. E’auspicabile, dunque, che i rappresentanti italiani in Europa sia portatori di programmi ed interessi che abbiano un riconoscimento da parte di cospicui settori della collettività. Per dirla in altri termini, Pdl e Pd, grandi partiti a vocazione maggioritaria, devono essere adeguatamente rappresentati nelle sedi comunitarie per far sentire la loro voce. La dispersione di voti a favore di piccolissime formazioni sarebbe una battuta d’arresto nel cammino ancora lungo e incerto verso un compiuto e maturo bipartitismo.
Per completare il disegno di ammodernamento occorrerebbe poi ridurre la dimensione delle attuali circoscrizioni (basti pensare che una di esse comprende, insieme, le due maggiori isole italiane, Sicilia e Sardegna) per migliorare il rapporto tra eletti ed elettori. Vi sono, infatti, intere regioni che, con l’attuale metodo elettorale, non sono riusciti, in passato, a far eleggere alcun rappresentate a Bruxelles. In tal modo si guadagnerebbe un collegamento più stretto tra parlamentari e cittadini, magari sostituendo l’attuale sistema delle preferenze.
In tal modo, si potrebbero superare gli attuali vizi di un sistema basato sulle clientele, su rapporti non sempre trasparanti tra candidati in cerca di voti e organizzazioni malavitose, sui conflitti intestini all’interno della medesima lista.
Si potrebbe porre fine ad un modello che, in contrasto con il principio costituzionale di parità di chances nell’accesso delle cariche elettive, favorisce, soprattutto nel Meridione, chi dispone di ingenti somme di denaro da impiegare in costosissime competizioni elettorali a danno di chi, magari animato da autentica passione civile, difficilmente potrà ambire a rappresentare il nostro Paese in Europa.