Francesco Cossiga: un grande spirito italiano

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Francesco Cossiga: un grande spirito italiano

20 Agosto 2010

Il presidente emerito della Repubblica italiana Francesco Cossiga, 82 anni, è morto martedì 17 agosto nell’ospedale romano dove aveva passato la sua ultima settimana entrando e uscendo dal coma, incapace di respirare senza assistenza. È stato uno dei più vivaci politici italiani e ha occupato numerose posizioni chiave nel governo, tra cui quella di ministro dell’Interno e di presidente del Consiglio, in momenti davvero difficili negli anni Settanta e Ottanta.

Quando vivevamo a Roma ho avuto modo di conoscere piuttosto bene Cossiga, il quale gestiva una sorta di associazione gastronomico-intellettuale in cui molti dei più importanti storici, filosofi, uomini d’affari e artisti del paese si riunivano all’insegna dell’ottimo cibo e di conversazioni piacevoli e aperte. Ricordo che organizzava quelle serate ogni due o tre settimane e io ebbi la fortuna di partecipare a molte di esse. Fu sempre molto generoso con il suo tempo, e penso di essere uno dei pochi americani che lo abbiano conosciuto bene. Durante il periodo in cui il suo amico Aldo Moro era tenuto prigioniero dalle Brigate Rosse, Francesco soffrì terribilmente. A quei tempi passai insieme a lui un’intera giornata: raramente mi è capitato di vedere un uomo in preda a una simile angoscia. Si sentiva personalmente colpevole del destino di Moro e, quando i terroristi lo assassinarono, Cossiga – con un atto raro per un uomo al potere – se ne assunse immeditatamente la responsabilità e rassegnò le dimissioni.

Era democristiano e profondamente religioso. Amava andare a messa nella stupenda chiesa di Santa Maria in Trastevere e non mi ha sorpreso che abbia lasciato disposizioni molto dettagliate per il proprio funerale (privato, nella natia Sardegna) e per la sepoltura (a Sassari, accanto a suo padre). Per lui, nessun funerale di stato.

Cossiga è stato una rarità sotto molti aspetti. Un outsider, come molti sardi a Roma. Aveva un grande senso dell’umorismo. Era un serio studioso della storia. Era un anglofilo: scriveva e parlava correntemente l’inglese, cosa che lo distingueva dalla maggior parte dei suoi colleghi. E, come dimostra la storia del suo piccolo “salotto”, era amante della buona conversazione nonché, ovviamente, della buona tavola e del buon vino.

Da primo ministro, cercò di conquistare l’appoggio americano alla “normalizzazione” con il Partito comunista italiano. Ritengo che l’abbia fatto perché Moro aveva per lungo tempo sostenuto che fosse al tempo stesso una cosa buona e inevitabile per l’Italia, ma forse anche perché lo credeva. In ogni caso, durante la presidenza Carter organizzò un viaggio a Washington per due importanti membri del Partito comunista per colloqui con il “governo ombra” di pensatori e scribacchini. Fu un fiasco.

Poi, durante la presidenza Reagan, Cossiga fu uno dei leader dell’accettazione italiana dei Pershing che rovinarono il piano dei sovietici d’intimidire l’Europa con i loro potenti missili. I tedeschi avevano detto che avrebbero schierato i missili Pershing se almeno un’altra nazione dell’Europa continentale avesse fatto lo stesso. Lavorando congiuntamente con il primo ministro Craxi, Cossiga convinse il Parlamento a votare “sì”.

Negli ultimi anni si era conquistata una reputazione di eccentricità ed era diventato uno dei leader politici più schietti e più amati del paese. Sono sicuro che oggi, in tutto il panorama ideologico, il dolore sia grande. Francesco ha agito bene, dimostrando buon carattere, grande spirito e serietà di pensiero. Di leader così non ce ne sono molti.

© Faster, Please!
Traduzione Andrea Di Nino