Giustizia tributaria secondo i 5 Stelle: da giustizia predittiva a giustizia intimidativa

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Giustizia tributaria secondo i 5 Stelle: da giustizia predittiva a giustizia intimidativa

20 Giugno 2022

L’impeto “giustizialista” del Movimento 5 Stelle di costante elusione di quel poco che rimane dello stato di diritto non poteva non estendersi, per forza inerziale, alla materia di giustizia e di processo tributario.

L’attuale assetto del processo tributario disciplinato dalla legge n. 212/2000 nota come statuto dei diritti del contribuente non è che sia, all’attualità, un modello di equilibrio tra ente impositore (Amministrazione Finanziaria) e contribuente.

Solo che succede che più di qualche volta il contribuente vince lasciando l’Erario a bocca asciutta.

Al fine di scongiurare tale evento è stata depositata da parlamentari del Movimento 5 Stella prima firmataria Rita Martinciglio la proposta di legge AC 3593 “Introduzione dell’articolo 5 bis della legge 27 luglio 2000 n. 212 concernente l’istituzione di una piattaforma telematica di giustizia predittiva in materia tributaria”.

In buona sostanza, come già evidenziato da Massimiliano Di Pace (nel quotidiano Il Dubbio), l’articolo 5 bis prevede l’introduzione, da parte del Ministero dell’Economia, nel proprio sito internet istituzionale di una piattaforma telematica contenente gli orientamenti “prevalenti” della giustizia tributaria consultabile in modo gratuito da tutti i contribuenti al fine di avere un’idea del possibile esito di eventuali controversie giudiziarie concernenti gli atti impositivi adottati dalle Pubbliche Amministrazioni cui spettano imposte e tasse.

Naturalmente, come è stato argutamente notato, stante l’attuale strutturazione della riforma della giustizia tributaria che se da un lato prevede la professionalizzazione dei magistrati tributari dall’altro la inserisce sotto il pieno controllo del Ministero dell’Economia, la scelta degli “orientamenti prevalenti” sarebbe comunque a discrezione della stessa amministrazione finanziaria.

Con qualche lecito italico sospetto che vengano presentate come “prevalenti” le decisioni a favore dell’amministrazione finanziaria relegando le pronunce favorevoli al contribuente tra quelle “non prevalenti”.

Tale proposta di legge (AC 3593) spiegata così può sembrare bizzarra ma in realtà vanta prestigiosi illustri precedenti.

Già l’imperatore dell’Impero Romano d’Occidente Valentiniano III con la sua “costituzione” emessa nel 426 a Ravenna istituiva il cosiddetto tribunale delle citazioni, diretto a disciplinare in giudizio le modalità con cui le parti, al fine di vincere la lite, potevano richiamare i pareri forniti sul caso di specie o su casi simili da giuristi di età classica per lo più defunti da circa un millennio.

Tale legge si prefiggeva di limitare l’alea del giudizio ponendo a carico dei giudici l’obbligo di pronunciare sentenza favorevole a chi avesse citato a proprio sostegno uno o più tra i 5 giuristi contemplati dal provvedimento: Emilio Papiniano, Domizio Ulpiano, Giulio Paolo, Erennio Modestino e Gaio purchè la controparte non ne avesse citato alcuno o almeno uno in meno o a chi avesse citato Papiniano (qualora la controparte avesse citato lo stesso numero di giuristi) o a chi il giudice ritenesse più opportuno qualora le parti avessero citato lo stesso numero di giuristi ma non Papininano.

Tale procedura veniva, non senza malizia, chiamata “tribunale dei morti” in quanto, come detto, i giuristi elencati erano tutti defunti da parecchi secoli.

Non solo ma si trattava di giuristi non solo vissuti in epoche diverse ma addirittura con un’idea dello ius non sempre coincidente stante l’ondeggiamento da sempre presente nei giuristi romani tra casistica e sistema.

Dovette arrivare Giustiniano (la cui opera di legislatore si è tramandata fino ai giorni nostri nella dottrina pandettistica germanica) per ridare vitalità alla produzione intellettuale dei giurisperiti.

Certo l’istituzione di un “tribunale dei morti” attraverso il pubblico editto di sentenze favorevoli all’amministrazione finanziaria (e visti i proponenti come dubitarne?) risolverebbe alla radice tanti problemi, eliminerebbe i ricorsi del contribuente, gli uffici impositori non avrebbero nemmeno più problemi di motivazione dei provvedimenti, in fin dei conti con 3 o 4 sentenze favorevoli l’amministrazione finanziara potrebbe navigare tranquilla e senza intoppi per decenni.

Ma i diritti dei contribuenti?

La difesa del diritto del singolo e delle sue guarentigie nei confronti dello Stato in sede civile, penale, amministrativa e tributaria?

Vanno, elegantemente, eliminati.

Il contribuente, si sa, è un diavolaccio che ne sa una più del diavolo per non pagare.

Come si dice: “Dio si illudeva creando il Diavolo di superare il contribuente che deve pagare i tributi in malignità”.

Il contribuente spesso possiede, attraverso i suoi consulenti, malignità intelligenti: trova cavilli, mancato rispetto delle procedure, errata sussunzione delle pretese tributarie rispetto alle norme fiscali, duplicazione di pretese, errori nei calcoli.

E tutto ciò al solo scopo di non pagare il giusto.

Ecco bisogna semplificare. Bisogna pagare in quanto la pretesa dell’amministrazione finanziaria rappresenta, ex se, il giusto.

Questo disegno di legge, che conta naturalmente sulla considerazione umana, molto umana, dell’appiattimento dei giudici sull’interpretazione vantaggiosa per gli enti impositori, rappresenta la prosecuzione in campo tributario della visione dei 5 Stelle in materia di giustizia e la loro naturale “antipatia” nei confronti del sapere giuridico.

Nel diritto, come in natura, ogni tesi nasce “minoritaria” prima di affermarsi, diventare “maggioritaria” ed infine recessiva rispetto ad una successiva idea partita anch’essa, a sua volta, come minoritaria.

Tutta la storia delle rivoluzioni, dalla Magna Carta alla Rivoluzione Francese, alla Rivoluzione Americana, alla Rivoluzione Russa nasce ad opere di minoranza e di idee di minoranza.

Nelle grandi democrazie occidentali ove non vige il “tribunale dei morti” il peso del “precedente” è contemperato e reso recessivo rispetto al riconoscimento di nuovi bisogni, dei bisogni radicali, che emergono necessariamente dalla concreta realtà del tessuto sociale.

Il risarcimento della “perdita di chance”, il riconoscimento della clausola di “hardship” che regola in senso perequativo l’impatto delle sopravvenienze non prevedibili sui contratti, i diritti delle nuove famiglie, i diritti delle unioni civili nascono tutti da una elaborazione giurisprudenziale all’inizio intrinsecamente e strutturalmente “minoritaria” in un percorso che va, affinandone il perimetro ed il contenuto, dalle sentenze dei giudici di legittimità alle cosiddette sentenze “additive  di principio” della Corte Costituzionale.

Attraverso il contributo di pensiero dei soggetti coinvolti, degli avvocati, di operatori del diritto e di giudici.

Tornare al “tribunale dei morti” significa rinnegare il valore della preparazione e dello studio  che può portare a soluzioni anche innovative rispetto alla precedente realtà normativa soggiacente.

Una “tassa sulla bravura” cara al Movimento 5 Stelle ma di cui di certo non si sente il bisogno e che rischia di trasformare, in una visione tutta “grillina”, la giurisprudenza tributaria da “predittiva” ad “intimidativa” nei confronti del contribuente e dei suoi diritti.

Nella degradazione, insita nelle visione del mondo dei 5 Stelle, dello statuto del cittadino allo statuto di suddito dalla culla alla tomba.