I meridionali la smettano di piangersi addosso e abbiano coraggio
25 Ottobre 2011
Sin da quando Sofia ha memoria, i meridionali debbono sedersi in fondo all’autobus come nell’Alabama di Rosa Parks. I primi e più bersagliati da questo atteggiamento culturale sono stati i siciliani. Ma in breve si è esteso a tutti quanti siano nati da Napoli in giù. Che siano politici o imprenditori poco importa, finiscono tutti (o quasi) alle gogne mediatiche delle loro province o, i più efferati, sui giornali e TV nazionali; consegnati mani e piedi, prima o poi, ad una peculiare forma di giustizia che vige soltanto al Sud.
Alcuni secoli fa, ben prima di me, di voi e di Rose Parker, un padre dell’illuminismo come Kant sostenne come verità certa, in uno scritto politico giovanile, che i negri puzzavano. A questa conclusione addiveniva dall’analisi (non saprei quanto accurata) dei tessuti della loro pelle. La stessa certezza di una minorità culturale la si crede per i meridionali. Mentre per la puzza dei negri, Kant si appellava ad una maggiore quantità di particelle ferrose nella loro epidermide, nel caso dei meridionali sono cause antropologiche le ragioni della loro puzza morale.
Sin dai primi bellissimi film del dopoguerra si è raccontata una storia del Sud che individuava nei comportamenti sociali un’anomalia irrecuperabile, una minorità direbbe per l’appunto Kant. Un ritardo incolmabile, un peccato irredimibile: non c’è amicizia al Sud che non sia anche correità, non c’è amore e sesso che non siano anche violenza morale, non c’è vita al Sud che non abbia un riflesso immediato nella morte.
Questo tenace paradigma culturale, sulla fine degli anni ‘80 con il maxi-processo di Palermo, si è trasformato in un’impalcatura legislativa che voleva colpire la malavita organizzata. Si disse però che questa nostra malavita, in effetti, ha origine nella storia, nel costume, nella cultura. Si pensò, e si pensa tuttora, che sterilizzando i luoghi in cui questa cultura si forma e i mezzi con cui si propaga, si sarebbe sconfitta la Mafia, la Camorra, la ‘Ndrangheta. Anche soltanto guardando ai risultati che la legislazione antimafia varata nei primi anni ’90 ha portato in termini di lotta al crimine organizzato, ovvero all’oggetto specifico della sua missione, i risultati sono sconcertanti.
Negli ultimi 20 anni, invece di perdere terreno nella sua lotta contro lo Stato, la forza del crimine organizzato è cresciuta in modo abnorme. Stando alle stime che in molti, ad esempio recentemente la Commissione Antimafia, hanno fatto sui proventi straordinari ancorché illeciti delle 4 mafie italiane messe insieme, corrispondenti a circa il 6 o il 7% del PIL italiano, bisogna ammettere che la lotta alla Mafia lo Stato non la sta vincendo.
Parallelamente, il controllo cagnesco delle attività economiche e imprenditoriali da parte dello Stato, la delega alla Magistratura e alle forze di polizia della vita civile nel Sud d’Italia, che si immagina essere precondizione necessaria per uno sviluppo moderno del Sud, ha soltanto impedito lo sviluppo sul nascere di nuovi fermenti, di valore civile appunto, distruggendo al contempo i precedenti sistemi accusati di collusione; Sofia era nata in un’Italia ricca con un Sud povero ma con la possibilità, e fosse stata anche solo la speranza, di riscatto che solo una politica libera può dare; adesso guarda sempre da lontano un Sud inchiodato a una condanna inappellabile e sempre più soggetto a scelte sterili e irresponsabili. Soggetto minore.
Kant scrisse della puzza dei negri in giovane età. Nel pieno della maturità ci lasciò riflessioni ben più importanti sulla minorità come incapacità di farsi guidare dalla propria testa e non da quello di altri. E a maggior ragione colpevoli sono questi meridionali che non peccano di intelligenza ma mancano di decisioni e coraggio.