I partiti cacciano Draghi perché la verità sull’Italia fa paura

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I partiti cacciano Draghi perché la verità sull’Italia fa paura

I partiti cacciano Draghi perché la verità sull’Italia fa paura

21 Luglio 2022

I partiti cacciano Draghi perché ieri in Senato il presidente del consiglio dimissionario ha detto la verità. La verità sull’Italia: un Paese fermo sulla strada della modernizzazione. Bloccato da una classe politica che appare sempre più prigioniera del suo interesse particolare. Incapace di cogliere la pericolosa grandezza delle sfide di politica economica e internazionale che abbiamo davanti. Per mancanza di visione e competenza.

Si sente ripetere da più parti che i partiti si sono sentiti offesi dalla durezza del discorso del premier. Si sono sentiti offesi i populisti 5 Stelle che avevano lanciato l’ultimatum a Draghi innescando la crisi. Offesi perché Draghi, dal cashback, al reddito di cittadinanza al Superbonus, in questi 17 mesi ha detto chiaramente che provvedimenti costosi, scritti male e che non funzionano sono indifendibili.

I partiti fanno gli offesi

Si sono sentiti offesi i partiti del centrodestra che hanno predicato per anni la mitica rivoluzione liberale ma che continuano a preservare interessi di parte contro ogni logica di concorrenza e libero mercato. Anche le forze progressiste come il Pd hanno contribuito al carico della turbolenza politica delle ultime settimane. Che senso ha tirare fuori questioni come la cannabis libera o la cittadinanza breve che nulla avevano a che fare con un governo di unità nazionale?

Insomma la sfida di Draghi era modernizzare il Paese. Con meno burocrazia, più concorrenza, più opportunità per le imprese che investono e vogliono creare lavoro, ricchezza. Per i giovani che vogliono farsi una famiglia, che la mattina si alzano e si rimboccano le maniche per andare a lavorare. Quella sfida ancora una volta come da venti anni a questa parte è persa.

Non per colpa di Draghi che durante il suo governo e grazie alla sua autorevolezza ha ridato influenza e credibilità al nostro Paese. Ma per la responsabilità dei partiti più interessati a racimolare voti per la prossima campagna elettorale che a fare le ‘riforme strutturali’. Un mantra che sentiamo ripetere all’infinito inutilmente.

Draghi severo ma giusto

Il discorso di Draghi è stato severo ma giusto perché inchioda questa classe politica alle sue paure. Perché smaschera il partito unico della spesa improduttiva, del debito fatto sulla testa delle nuove generazioni, delle clientele da ingrassare. Non hanno avuto il coraggio di sfiduciarlo, sono usciti dall’aula per non votare. Incuranti della mano tesa per un nuovo patto sociale. Prigionieri dei rancori accumulati durante la convivenza forzata, rompendo quel “breve periodo d’oro” per il cambiamento del nostro Paese come lo ha descritto il New York Times.

Si apre una nuova stagione di caos politico. Proprio nel momento peggiore, quando l’Europa uscita dalla pandemia si trova a fronteggiare la aggressione militare russa in Ucraina. Quella guerra nella quale Draghi non ha avuto esitazioni a schierare il nostro Paese dalla parte giusta, con i nostri alleati occidentali e nel quadro delle relazioni transatlantiche. Mentre due dei grandi partiti coinvolti nella caduta di Supermario, Lega e 5 Stelle, ancora debbono dare spiegazioni sulla vicinanza mostrata nel recente passato con il regime russo.

Economia e Pnrr a rischio

La caduta di Draghi è quindi figlia della paura dei partiti. Il prezzo già lo vediamo nella reazione dei mercati, nella Borsa che perde colpi, nello spread che sale. La fine dell’unità politica coincide con la rischiosa destabilizzazione della terza economia Ue, la nostra.

“I titoli di Stato italiani a 10 anni hanno reso il 3,5% in più rispetto a quelli della Grecia. Gli investitori si stanno quindi assumendo rischi maggiori per l’Italia rispetto al Paese che era sull’orlo del collasso finanziario solo pochi anni fa”, scrive la tedesca Faz.

Alla faccia della crescita, del partito del Pil tradito un’altra volta, degli obiettivi del Pnrr concordati con Bruxelles. Miliardi di euro che ora vedremo chi saprà gestire senza buttarli a mare.