Il comunismo cinese sconfitto dal Covid

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Il comunismo cinese sconfitto dal Covid

Il comunismo cinese sconfitto dal Covid

27 Novembre 2022

La Cina e il Covid. Nel settembre del 2020, il presidente Xi Jinping dichiarava che la gestione della pandemia nel suo Paese era la dimostrazione della superiorità del sistema comunista nel mondo. Nei Paesi occidentali, per un certo periodo di tempo, questa narrazione prese piede, mentre gli Usa di Trump spingevano per una politica di convivenza con la pandemia. Due anni dopo, i fatti mostrano che la Cina ha fallito.

Il 24 novembre scorso a Urumqi, la capitale dello Xinjiang che conta 4 milioni di abitanti, almeno 10 persone sono morte durante un incendio nel palazzo in cui erano rinchiuse in ossequio alle politiche zero covid del regime. Circa 150 vigili del fuoco sono stati impegnati per domare le fiamme. Non più tardi di 48 ore fa, le autorità di Urumqi hanno emesso un inusuale comunicato scusandosi con la popolazione e promettendo di accertare le responsabilità dell’incendio.

“Rifiutiamo di essere schiavi”

Ma i residenti sono scesi in strada per protestare, con il volto coperto dalle mascherine e intonando l’inno nazionale: ‘alziamoci e rifiutiamo di essere schiavi’. Hanno rotto i cordoni di sicurezza, ci sono stati scontri con la polizia e una manifestazione di protesta sotto gli edifici del governo. La notizia, silenziata dai media comunisti, è rimbalzata sui social e sulla stampa straniera.

La polizia di Urumqi ha comunicato di aver arrestato una donna, tale Su, accusata di “spargere notizie infondate su Internet” legate all’incendio. Nello Xinjiang le proteste contro la repressione antiCovid potrebbero saldarsi alle rivendicazioni della minoranza degli uiguri, musulmani e turcofoni, perseguitati dalle autorità cinesi.

Le autorità dello Xinjiang hanno annunciato di voler allentare alcune restrizioni anti-Covid; a Urumqui il lockdown va avanti ininterrottamente da cento giorni. Al nord, nella città di Shijiazhuang, 11 milioni di persone, le autorità hanno deciso di eliminare l’obbligo di dover mostrare il certificato di negatività al Covid per chi entra nell’area urbana. Prefigurando secondo alcuni analisti un approccio che potrebbe segnare la riapertura di tutta la Cina dopo tre anni di restrizioni.

Zero Covid in Cina è fallito

La politica “zero-Covid” del regime comunista cinese in ogni caso è fallita, anche se al momento all’orizzonte non sembra esserci una visione alternativa. Le contestazioni si allargano ad altre zone del gigante asiatico. Nella provincia di Pechino, con proteste ancora sporadiche.

Nello Zhengzhou, centinaia di dipendenti dello stabilimento Foxconn, dove si produce il 70 per cento degli iPhone a livello globale, si sono ribellati. Protestano perché costretti a convivere nei dormitori con i lavoratori positivi al coronavirus. Nello Guangzhou i cittadini esasperati hanno rovesciato auto e cassonetti nelle strade, alzando barricate contro le forze della sicurezza.

In Cina i contagi toccano cifre da record, la rabbia sale, i rischi di nuove tragedie come quella di Urumqi aumentano. Il regime di Xi ondeggia confusamente tra la linea dura e la volontà di ammorbidire tracciamento e quarantena. I lockdown continuano, le direttive a livello locale confliggono con quelle centrali. Il tasso di vaccinazione della popolazione anziana resta ancora basso, in un Paese che sta mostrando una fortissima resistenza alle vaccinazioni.

Le ricadute negative sull’economia

Oltre a una ostinata politica vaccinale ‘sovranista’ che non ha ottenuto gli effetti desiderati. La botta che il Covid sta dando alla economia cinese è grave. Il tasso di crescita è sceso ai livelli più bassi da decenni, la disoccupazione giovanile è salita al 20%. I lockdown hanno un impatto notevole sui consumi e la produzione manifatturiera. Gli effetti della crisi ecomica cinese si fanno sentire anche a livello globale.

Xi ha sottovalutato le conseguenze economiche e sociali della crisi pandemica?