Il fenomeno delle baby gang nasconde un malessere che è curabile
08 Ottobre 2009
L’ultima vittima è un egiziano che venerdì scorso si è imbattuto in una baby gang. Picchiato e rapinato, è stato assalito da un gruppetto di giovani, tutti incensurati, studenti, figli di famiglie normali. Almeno è quanto hanno riferito gli investigatori, esterrefatti per l’atteggiamento dei ragazzi che sembrava avessero partecipato ad un gioco innocente. Nei giorni precedenti c’erano state altre aggressioni, forse ad opera degli stessi ragazzi; ancora però non è certo. Ma si è trattato comunque sempre di gruppetti di giovanissimi.
Spesso questi ragazzi non hanno problemi economici, né appartengono a classi sociali deprivate; anzi, hanno persino genitori apparentemente attenti e normali. Sicuramente l’ambiente può disincentivare la violenza oppure lasciarla prosperare, o addirittura indurla come accade negli ambienti malavitosi. Quando la violenza non è la risposta difensiva a una minaccia o ad un pericolo, può nascere da motivi non chiari ed espliciti ma nascosti ed oscuri. C’è chi usa la violenza per difendersi, chi ne fa un uso strumentale per ottenere ciò che desidera; chi ha invece imparato ad infierire sugli altri perché ha subìto a sua volta violenza ed aggressività e si identifica con l’aggressore, temuto e ammirato allo stesso tempo. Chi la utilizza come affermazione di sé, tipica di chi ha una scarsa autostima e chi ancora è incapace di esprimere i propri sentimenti con le parole e passa all’atto aggressivo. Chi poi la esercita per noia, o per mancanza di senso morale e di pietà.
E’ importante distinguere l’aggressività dalla violenza: l’aggressività è una dimensione normale della psiche, è il motore di creatività, vitalità, di potenzialità positive; la violenza è distruttività, e rappresenta uno degli esiti possibili dell’aggressività.
All’origine di molte rabbie che sfociano in violenza senza senso mi verrebbe da pensare che probabilmente ci sono delle “perdite”, reali, o vissute come tali, non fa grande differenza. Se le perdite non sono elaborate rimangono ferite che devono essere perennemente risarcite. La perdita implicita nella crescita; per alcuni è traumatico abbandonare l’infanzia, o la perdita di un affetto, o una separazione, o semplicemente la perdita della certezza di potercela fare; la sensazione tipica di quei ragazzi privi di punti di riferimento affettivi. Gli adolescenti sono in continua mutazione è come se avessero perso un’identità e ne debbano ricostituire un’altra senza ancora nessuna percezione esatta; tanti stimoli, tanti impulsi, ma nulla di chiaro di definito, solo molta paura di non sapere chi si è e cosa si vuole o si deve fare. Tutto questo è a volte un rischio. Corpo e psiche stanno subendo una metamorfosi e i motivi di tensione sono forti e frequenti; spesso non si controlla l’angoscia che sfocia quindi, per alcuni, in aggressione gratuita e violenta.
Queste gang di ragazzi sono a volte la dimostrazione che se non riescono ad integrarsi nella società con le sue regole, la sua cultura, si aggregano e si organizzano con modalità che li fanno sentire appartenenti ad una famiglia. Le gang divengono più importanti della famiglia di appartenenza, assolvono a tutti i bisogni di quella età non vissuta in modo armonico. L’identità, il riconoscimento, l’appartenenza, l’eccitazione e la protezione sono assicurate; si diventa una banda con leggi proprie dove si pensa solo a soddisfare i propri malcontenti, i propri bisogni distorti. Chiusi al mondo, gli altri diventano nemici, si disumanizzano e di conseguenza, non provando nessuna emozione e pietà nei loro confronti, si possono anche massacrare di botte.
Sempre più spesso queste bande eseguono violenze per svago, solo per il gusto dell’eccitazione, della sfida, della voglia di trasgredire le regole; questo gusto ad alcuni prende la mano. In particolare se si è in gruppo, il senso del limite si perde con estrema facilità. Si alza il tiro e così può scappare anche il morto. Dietro queste violenze, fatte per noia e passatempo che divengono un modo di vivere, di alcune bande, ci sono più cause come spiegavo precedentemente: noia, ostilità, bisogno di riconoscimento, rabbia sociale, ideologie, narcisismo, paure. Questa violenza può divenire una dipendenza, un modo di vivere abituale, come una droga. Modo di vivere che diviene una trappola.
Uno dei compiti del crescere – se non si hanno disturbi di personalità, o altre patologie – è proprio quello di imparare ad incanalare le energie, l’aggressività verso obiettivi positivi e costruttivi. Anche questo è un apprendimento e come tale può essere e deve essere a mio avviso considerato con molta attenzione da chi decide di essere genitore. Ma più in generale deve essere contemplato da tutta la società.
Molti adolescenti mancano di quella capacità, di riconoscere e comprendere sentimenti ed emozioni propri ed altrui. Mancano di quegli atteggiamenti pro-sociali, che dovrebbero essere acquisiti tra i tre e gli undici anni (cioè valori come la condivisione, la capacità di ascolto, la cooperazione, il rispetto delle regole, il supporto, il dialogare, l’essere gentili con gli altri). Molti ragazzi sono carenti anche per mancanza di esperienze e modelli appropriati. Per loro, la scuola e la società, possono fare molto. Anche se con ritardo è possibile infatti apprendere queste “abilità”. E’ sicuramente attuabile la possibilità di insegnare a riconoscere i propri sentimenti distruttivi, e non metterli in atto con altrettanti comportamenti.
Si possono dare ai ragazzi esempi, riferimenti, luoghi di aggregazione, possibilità di fare sport e attività nelle quali incanalare energie distruttive. E’ possibile insegnare i giovani a frequentarsi per costruire e non distruggere. Frequentarsi, con stimoli e obiettivi piacevoli, costruttivi e interessanti, insomma tenere presente la difficile età e saper dare aiuti, ma anche sanzioni. Esse infatti, le tanto discusse sanzioni, rappresentano un passaggio importante nella crescita. Responsabilizzano, fanno crescere, danno la possibilità di riparare il danno. La sanzione è una possibilità per essere consapevoli e ricostruire. Rimettersi alla prova ed appassionarsi alla sfida di vivere ogni giorno, resistendo e motivandosi invece di soccombere alla violenza.