
Il nuovo governo, il Nord che cresce e la Questione settentrionale

10 Agosto 2022
La Questione settentrionale può essere ripensata dal nuovo governo, prendendo l’abbrivio dalla crisi politica di tre settimane fa. Si può fare superando gli schematismi tra Nord operoso e Sud parassitario, tra localismi identitari, piccole patrie e Stato nazionale. Anche prima del Covid e della guerra di Putin, sapevamo che il rilancio del Sud e delle nostre aree interne serve al Nord che tira il Pil per primeggiare tra le regioni europee più progredite. Questo però non può avvenire senza fare quelle riforme radicali in grado di valorizzare il dinamismo imprenditoriale del Nord.
Il partito del Pil e le riforme
La Questione settentrionale si ripropone nel momento in cui una parte del mondo imprenditoriale ha vissuto con sgomento la cacciata di Draghi per calcoli elettorali. Se pure con gradualità e senza decisioni eclatanti in grado di ridurre il “debito cattivo”, ma forte della sua legittimazione internazionale, il Governo Draghi ha provato a metter mano alle problematiche strutturali che imprigionano le energie dei ceti produttivi. Un percorso interrotto prima del tempo che mette almeno parzialmente a rischio l’occasione storica del Pnrr e sembra allontanare la realizzazione di quelle riforme che altri Paesi europei hanno già concluso da tempo facendo crescere le loro economie più della nostra.
Il Governo che verrà dovrebbe ripartire da qui ricostruendo il patto di fiducia tra politica e mondo economico settentrionale. Su quali basi più generali però va rifondato questo patto? Le imprese del Nord hanno bisogno di una burocrazia statale moderna ed efficiente. Le grandi opere infrastrutturali come l’Alta Velocità non possono essere bloccate da quattro teppisti incappucciati legittimati da certo ambientalismo ideologico anticapitalista. Certo, il divario tra Nord e Sud non ha mai smesso di allargarsi e per rilanciare il Mezzogiorno bisogna puntare su poche cose essenziali.
Riagganciare il Sud allo sviluppo
I partiti dovrebbero abbandonare una volta per tutte le politiche assistenziali per il Mezzogiorno che dilapidano la ricchezza comune. Il reddito di cittadinanza va abolito e non si può immaginare di mandare in pensione sessantenni che magari hanno ancora voglia di lavorare o che comunque hanno la possibilità di farlo. Chi investe al Sud non deve pagare tasse perché così si attraggono gli investitori internazionali invece di farli scappare a gambe levate, spaventati dal ginepraio di norme opprimenti che abbiamo e da qualche sentenza di un tribunale che blocca tutto.
La parte più consistente dei soldi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza andrà nel Mezzogiorno. Il nuovo governo dovrebbe concentrare le risorse sulle grandi opere infrastrutturali, il Ponte sullo Stretto, i collegamenti perché è inaccettabile che manchi l’Alta Velocità tra i centri urbani più grandi e che il traffico merci o i flussi turistici debbano proseguire su strade statali quando le autostrade si interrompono. Con i soldi del Pnrr possiamo creare reti della mobilità, energetiche e digitali per il Sud.
Poi c’è il lavoro. La contrattazione collettiva dovrebbe cedere il passo a quella decentralizzata per dare più autonomia alle aziende e agli enti locali e avere un mercato del lavoro davvero flessibile e concorrenziale. Infine la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Il Nord dunque ha bisogno di un Sud più moderno e capace di crescere per spingere lo sviluppo del Paese.
Innovazione e sostenibilità
Per il Nord invece serve una visione capace di premiare chi investe nella innovazione e nella sostenibilità, cioè nel nostro futuro. Il Nord negli ultimi decenni è cambiato, sono nati nuovi protagonisti imprenditoriali, c’è il quarto capitalismo, le seconde generazioni. Il paesaggio produttivo e industriale si è morfologicamente modificato. Le conoscenze si sono accresciute ma non abbastanza da sfamare la voglia di fare delle aziende.
Il tempo della spesa pubblica improduttiva, delle imprese sussidiate e dei miliardi buttati sulle presunte ex grandi aziende partecipate dallo Stato è finito. La Pubblica amministrazione che non investe nel digitale e continua ad assumere personale, spesso in cambio di voti, è un relitto preistorico, costoso e inutile. Bisogna riformare il fisco detassando il lavoro, le imprese che fanno welfare in azienda, chi investe, è competitivo, sfida i mercati internazionali.
La lettera dell’ABI
‘Occorre intervenire sul debito pubblico e sulla tenuta dei conti pubblici, con un efficace contrasto dell’evasione e soprattutto rafforzando la crescita. A tal fine le risorse del Pnrr rappresentano una opportunità che non può essere mancata’. Lo dice l’Abi nella lettera inviata alle Commissioni parlamentari e ai partiti in vista delle prossime elezioni.
Per l’Italia è essenziale ‘rimuovere i vincoli strutturali e attivare politiche economiche chiare e stabili’. L’utilizzo delle risorse del Pnrr ‘deve essere un obiettivo prioritario’ e bisogna quindi creare ‘tutte le condizioni perché l’Italia usi queste risorse, rispettando i tempi concordati in Europa’
Il Nord europeo è la chiave di volta per modernizzare l’Italia rafforzando l’Unione. Il nuovo governo dopo il 25 Settembre non può dimenticarsene.