Il problema è che in Italia non è ancora caduto il muro di Berlino

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Il problema è che in Italia non è ancora caduto il muro di Berlino

17 Maggio 2009

Pietrangelo Buttafuoco la chiama “porca architettura della memoria”: ed esagera. Altrettanto esagerato è il revisionismo nel quale ovunque e comunque si lanciano i nostalgici della sconfitta ed i loro eredi più o meno informati. C’è però da convenire che in Italia i festeggiamenti di alcune ricorrenze hanno assunto la monotonia e la fissità della liturgia.

L’ultima occasione per dare sfogo comprensibile ma sterile al contrasto è stata offerta dal libro del senatore Andrea Augello “Uccidete gli Italiani”. Il titolo sintetizza il discorso che Patton fece alle truppe angloamericane in occasione dello sbarco in Sicilia. E’ un libro documentato e non di parte, che narra, con corredo documentale, alcune vicende, personali e collettive, di italiani che parteciparono agli scontri che terminarono con la liberazione/conquista della Sicilia. Leggendo il libro si comprende lo sforzo di sfruttare la distanza temporale per assumere distanza critica sufficiente a restare neutrale.

Ma non sempre il tentativo riesce: qua e là emerge l’irritazione per le troppe omissioni e per la storiografia ufficiale su quei giorni in  Sicilia. Una storiografia che descrive gli italiani non solo privi di virtù guerriere ma addirittura macchiette voltaggabana. C’è così da ammirare la scelta di aver chiesto ad Anna Finocchiaro la postfazione del libro anche se ha il sapore dell’excusatio non poetita. Quando qualcuno che scrive sulla Resistenza lo chiederà a Storace, non a Fini od Alemanno, avremo fatto un altro passo avanti.

Il libro di Augello ha il merito di rilanciare la discussione su un passato che pesa addosso ai pronipoti di chi lo visse, perché non ancora metabolizzato. Vi si adombra che i nonni degli attuali diciottenni non rinunciano all’idea di fare della loro ricostruzione storica una ragione di identità separata. La verità è però diversa, anche se più articolata di quella narrata da Augello. Soprattutto negli esiti dei piccoli atti di eroismo individuale e collettivo documentati nel libro. Come quello dell’italiano entusiasta dell’arrivo degli alleati che viene abbattuto dal fuoco americano al pari dell’impenitente fascista, a fianco del quale sarà poi sepolto, a testimoniare la volontà del Caso ad una riconciliazione che ancora attendiamo.

Gli esiti, dicevamo. I tedeschi non hanno meno cose da perdonarsi reciprocamente per quanto avvenuto nei cinque lustri che vanno dal 1920 al 1945: basta leggere i libri di Joachim Fest, Obbiettivo Hitler – la resistenza al nazismo e di David Welch, Le cospirazioni del Terzo Reich. Anzi hanno ben di più, visto quanta sofferenza alcuni di loro hanno inflitto ai loro connazionali nei successivi quarant’anni nella Germania Orientale. Nondimeno dopo poco più di cinque anni dalla caduta del muro di Berlino, esattamente l’ 8 maggio 1995, il riunificato popolo tedesco scelse l’8 maggio 1945 come data della sua riconciliazione nazionale, unificando i festeggiamenti della liberazione sia dal nazismo che dal comunismo.

Decidendo di arretrare idealmente la data della caduta del regime comunista alla data della caduta del regime nazista, la Germania non solo ha operato la corretta equiparazione storica, non etica, di due regimi totalitari feroci ma si è riconsegnata unita alle generazioni che quei totalitarismi non hanno conosciuto personalmente. In Italia un 8 maggio 1945 è ancora molto di là da venire, perché non c’è concordia sul riconoscimento degli altri italiani, quelli che stavano dalla parte sbagliata in buona fede, nè sul recupero, certamente critico ma effettivo, della loro memoria storica. Senza queste due premesse sarà impossibile alimentare la comunione politica su cui fondare una ritrovata identità comune e tanto meno una coscienza nazionale.

La prospettiva partigiano-centrica con cui è stata costruita la storia degli ultimi cinquant’anni, ha ghettizzato il cordoglio dei famigliari degli altri Italiani caduti in guerra ed ha partorito la cultura del nemico anziché dell’avversario politico. La scelta di giudicare e condannare i comportamenti degli italiani fascisti in base a criteri morali anziché solo giuridici fu giustificata come reazione istintiva per le sofferenze inferte da un regime totalitario ma ora questa incapacità riconciliativa deve lasciar luogo alla coscienza che solo la contestualizzazione di alcuni ispirativi costituzionali e l’adeguamento delle strutture organizzative dello Stato possono recuperare identità collettiva al popolo italiano.

Un’identità collettiva che deve essere più forte ed ecumenica dei principi intorno ai quali si è formata. Diversamente ogni prospettiva di riforma istituzionale continuerà ad evocare il timore che anche una piccola breccia possa far crollare l’intero edificio.