In Occidente la storia non è più “magistra vitae”
31 Luglio 2024
L’Europa, insieme agli Stati Uniti, rappresenta il cuore dell’Occidente, ma si trova a fronteggiare una crescente ostilità da parte di potenze mondiali come Russia e Cina. Questa ostilità è alimentata da un’insufficienza di realismo all’interno delle élite occidentali e dell’opinione pubblica, che caratterizza il loro orientamento culturale e politico, scrive sul Corriere il professor Galli della Loggia.
La mancanza di una visione chiara e concreta della realtà impedisce una consapevolezza adeguata della varietà e della portata delle minacce globali. Questa mancanza di realismo è evidente nella reazione spesso inadeguata degli europei agli eventi mondiali, caratterizzata da un atteggiamento di attesa e una fiducia eccessiva nella diplomazia come unica soluzione.
L’Europa sembra aver perso la capacità di pensare al “Negativo,” ovvero alla possibilità che il Male e l’Avversario possano esistere in forme tangibili e minacciose, spiega il professore. Questo ha portato a una visione distorta del conflitto e della guerra, visti come dimensioni inaccettabili e impossibili da affrontare. L’assenza di una comprensione realistica del mondo ha portato a politiche e discorsi pubblici che spesso ignorano la dura realtà, promuovendo invece ideali di inclusività e sostenibilità che, sebbene importanti, rischiano di diventare astratti e inefficaci se non bilanciati con una percezione pragmatica delle sfide attuali.
Due elementi fondamentali che una volta caratterizzavano l’Occidente sembrano essere stati marginalizzati, secondo Della Loggia: il Cristianesimo e la conoscenza storica. La cultura cristiana, con la sua enfasi sul peccato originale e la predisposizione al male, forniva una lente preziosa per comprendere la realtà umana, invitando a una visione realistica e cauta del mondo. Allo stesso modo, la storia, come disciplina, è stata un nutrimento essenziale per la politica, offrendo lezioni dal passato che hanno guidato leader come Churchill e De Gaulle a navigare attraverso crisi complesse.
La storia, scrive Della Loggia, è “il primo e più importante nutrimento della politica, di chi voglia conoscere la realtà vera al di là delle illusioni. E infatti le classi politiche e i loro capi che in tempo fecero grande l’Europa e più recentemente l’hanno salvata dal naufragio – penso a uomini come Churchill o De Gaulle – hanno sempre nutrito la propria azione di una vasta e profonda conoscenza storica”.
“Sapere delle vicende del passato, apprendere lo svolgimento dalle pagine dei grandi narratori che le hanno meditate e ce le hanno trasmesse – da Tucidide a Tacito, a Machiavelli a Gibbon (dicono ancora qualcosa questi nomi a chi siede oggi a Montecitorio o a Bruxelles?) – costituisce una scuola essenziale per conoscere il mondo com’è e non come ci piacerebbe che fosse. Per conoscere che cosa realmente muove le passioni degli individui e delle folle, la differenza tra le mode di un giorno e gli interessi permanenti di una società, per intendere che cosa voglia dire la libertà”.
L’Europa sembra priva di questi strumenti intellettuali fondamentali, rendendola vulnerabile all’illusione del progresso garantito dalla tecnologia. Questa visione utopica, spesso sprovvista di un’adeguata considerazione delle conseguenze, può portare a decisioni imprudenti e a una gestione inefficace delle crisi globali. La mancanza di realismo, dunque, e di una comprensione profonda delle dinamiche globali rappresenta una sfida cruciale per l’Europa e l’Occidente in generale.
“Una una volta ridotto a ben poco il Cristianesimo delle masse per effetto della secolarizzazione e quasi cancellato nella formazione delle élite, una volta più o meno espulsa la storia dai suoi programmi d’istruzione a favore dell’economia e della sociologia, l’Europa è rimasta priva di due strumenti intellettualmente formidabili per conoscere e comprendere la realtà negativa del mondo. E dunque facile preda dell’idea che comunque ci attende il progresso assicurato, si dice, dalle sempre nuove conquiste della tecnica”, scrive il professore sul Corriere.
“Non importa molto, dopotutto, se realizzate nei laboratori di Pechino, di San Pietroburgo o magari di Pyongyang”. Riscoprire il valore della storia e una visione più realista della natura umana potrebbe essere essenziale per affrontare le sfide del presente e del futuro con maggiore consapevolezza e resilienza.