Intanto votiamo “sì” al referendum, per gli accordi politici c’è sempre tempo
17 Giugno 2009
Per capire quale orientamento occorre tenere sui referendum "Guzzetta" previsti per il 21 e 22 giugno prossimi è opportuno lasciar perdere i calcoli politici contingenti. Se ci mettiamo ad analizzare l’atteggiamento di Berlusconi, di Fini, di Bossi o di altri esponenti politici svolgiamo un esercizio che può spiegare interessi e calcoli dell’oggi, ma rischiamo di perdere di vista l’essenziale.
Come è noto, i referendum relativi alle leggi elettorali debbono essere pienamente manipolativi. Debbono, cioè, far scaturire dal voto una legge valida in tutte le sue parti. Senza che ci sia necessità di interventi correttivi da parte del parlamento. Giusto o meno in linea di principio che sia questo dettato, fissato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, esso conferisce un valore aggiuntivo a questo tipo di referendum. In questa occasione, infatti, il corpo elettorale può imporre una propria soluzione alla classe politica senza timore che ci siano tradimenti della volontà chiaramente espressa dalle urne.
Veniamo ora al merito del referendum. Il più importante dei tre quesiti è quello che per la camera dei deputati assegna il premio di maggioranza non alla coalizione ma al partito più grande. L’entrata in vigore di questa modifica creerebbe un effetto di bipartitizzazione del sistema sui entrambi i versanti della circolazione politica. Sul piano della classe politica farebbe venir meno o ridurrebbe drasticamente il potere di coalizione dei partiti minori di ciascuno schieramento (Lega e Italia dei valori). In altri termini, non ci sarebbe più alcun bisogno di fare concessioni a forze politiche capaci di qualunque torsione demagogica pur d’incrementare la propria percentuale di consenso. Nel contempo, ciascuno dei partiti maggiori dovrebbe concentrarsi nel delineare un programma di governo realistico e non illusorio. Fatto che imporrebbe un salutare bagno di empirismo al dibattito pubblico. Sul piano, invece, dell’elettorato il successo del referendum farebbe crescere la costrizione al voto utile. Correlativamente scemerebbe di molto la propensione al voto identitario e non orientato al governo. Anche sul piano del comportamento elettorale, insomma, ci sarebbe un bagno di realtà nel momento cardine della vita pubblica. Il voto delle elezioni politiche che deve designare il governo per l’intera legislatura.
Rispetto al vantaggio che il sistema politico ricaverebbe dal successo del referendum, non ha grande valore un’obiezione che è stata avanzata più volte in questi giorni. Si è detto che, dati i rapporti di forza tra i due principali partiti, il successo del referendum favorirebbe solo il PdL a scapito del Pd. Questo ragionamento, però, assume come definitivo o durevole un dato che riguarda l’oggi, rispetto a un futuro indeterminato. In una democrazia conflittuale basata sull’alternanza le rendite di posizione non esistono. Certo, l’alternanza non è obbligatoria e spesso procede per fasi non brevi (anche 10 o 15 anni); tuttavia va sempre tenuto presente che la permanenza al potere non dipende da equilibri sistemici (come in Italia nella prima repubblica), bensì dalla capacità di governo. Un governo inetto o inefficace viene di solito punito alle urne se i cittadini dispongono di una alternativa che non sia marcatamente antisistema. D’altronde, gli studi empirici sui flussi elettorali mostrano come nel nostro paese la vischiosità elettorale sia in calo e gli elettori che cambiano voto tra un’elezione e l’altra aumentano sempre più. Poste tali caratteristiche di fondo, ne consegue un preciso dettato anche per la situazione italiana di oggi. Per quanto il Pd sia in crisi, e l’attuale dirigenza non mostri grandi capacità, la possibilità di un recupero a medio termine è sempre possibile.
In sostanza, un breve ragionamento di carattere strutturale mostra come sia conveniente andare a votare per i referendum del 21 e 22 giugno prossimi. La vittoria dei sì segnerebbe un tornante decisivo nella faticosa transizione italiana, imprimendo quella effettiva semplificazione del quadro partitico che la gran parte dell’opinione pubblica aspetta da oltre un quindicennio.
E le possibili conseguenze politiche del voto? Cosa farà la Lega, come reagirà Berlusconi? Francamente, si tratta di argomenti che, in questo caso, non m’interessano. Facciamo vincere i "sì" e poi che se la sbrighino un po’ loro.