Kosovo, un riconoscimento illecito per uno Stato ancora prematuro
18 Marzo 2008
L’autoproclamazione di un Kosovo indipendente è argomento di
forte interesse politologico, ma le valutazioni politiche della vicenda
kosovara non possono prescindere dall’analisi giuridica. La nascita di un nuovo
Stato è regolata dal diritto internazionale, e in particolare dal principio della
cosiddetta effettività. Uno Stato viene ad esistenza nel momento stesso in cui
acquisisce un controllo effettivo sul proprio territorio e sulla propria
popolazione, in assenza di interferenze esterne nell’esercizio di tale potere
di governo. La nascita di un nuovo Stato dipende dunque da elementi di natura
fattuale, che non sembrano essere presenti nel neo proclamato Stato del Kosovo.
A conclusione dell’intervento militare della Nato del 1999
contro il regime di Slobodan Milosevic, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite (CdS) adottava la risoluzione 1244/1999, in cui il CdS riconosceva la
sovranità serba sul Kosovo e garantiva a quest’ultimo una sostanziale
autonomia. La decisione prevedeva che il Kosovo fosse medio tempore governato da un’amministrazione internazionale,
realizzata attraverso l’invio di una missione ONU sul territorio (UNMIK),
assistita da un corpo militare della Nato (KFOR). Negli anni successivi, il
potere di governo è stato gestito dall’ONU e dalla Nato, in attesa che i
negoziati avviati sul futuro status
della provincia dessero una soluzione al problema. È noto, però, che la via
diplomatica non ha avuto successo e il rapporto Ahtisaari, che raccomandava la
concessione dell’indipendenza al Kosovo, non è stato mai adottato dal CdS: la
ferma opposizione di Federazione Russa e Cina ha di fatto inferto un duro colpo
alle mire indipendentiste di Pristina, che ha così optato per
l’autoproclamazione della indipendenza. Tuttavia, dal punto di vista del diritto
internazionale, l’autoproclamazione non è certo sufficiente a fare del Kosovo uno
Stato a tutti gli effetti.
Sul territorio kosovaro operano ancora tanto l’UNMIK quanto
entrambi i corpi la dice lunga sul controllo effettivo che le autorità di
Pristina possono esercitare sul proprio territorio e sulla propria popolazione
(oltre che sull’assenza di interferenze esterne). Inoltre, a oggi, non si ha
notizia di richieste di ritiro della missione internazionale da parte del
governo kosovaro. Anzi, è perfino previsto che UNMIK e KFOR siano sostituite da
una missione UE, a dimostrazione che le autorità di Pristina non possono da
sole assicurare il governo del Paese.
Ciononostante, molti paesi occidentali, tra cui l’Italia,
hanno proceduto al riconoscimento del nuovo Stato del Kosovo, decidendo di avviare
con Pristina normali relazioni diplomatiche. Nel diritto internazionale, però, il
riconoscimento non ha effetti costituivi, pertanto, se manca il requisito della
effettività, il riconoscimento effettuato da parte di Stati terzi non determina
la costituzione del nuovo Stato e si configura come prematuro. Il nuovo Stato
esiste solo se ha il controllo su territorio e popolazione e solo allora può
essere riconosciuto. Lo Stato che procede a un riconoscimento prematuro compie
un illecito internazionale. Se dunque è vero che il Kosovo non è uno Stato
perché difetta della effettività, è chiaro gli Stati che lo hanno riconosciuto
hanno commesso un illecito, il che ha consentito a Belgrado di annunciare
l’adozione di contromisure.
Ma non è soltanto sotto questo profilo che il riconoscimento
effettuato anche dal governo italiano presenta profili di dubbia liceità
internazionale.
Il Kosovo nascerebbe in realtà da un intervento militare
portato avanti dalla Nato, in assenza di una preventiva autorizzazione del CdS.
ha tentato di giustificare l’uso della forza armata contro Milosevic facendo
leva sul cosiddetto intervento di umanità, ma si tratta di un istituto di
diritto internazionale estremamente controverso. Alcuni autori ritengono che la
risoluzione 1244/1999 abbia sanato l’illiceità originaria dell’azione militare,
ma nella decisione del CdS non c’è alcun riferimento espresso a tale sanatoria.
La questione della liceità dell’intervento è stata portata anche al cospetto
della Corte internazionale di giustizia, ma
priva di giurisdizione. Tra gli esperti di diritto internazionale è comunque prevalente
la tesi che considera l’intervento in Kosovo un crimine internazionale, essendo
stata violata una norma di diritto cogente. Ebbene, le situazioni giuridiche
che si creano a seguito della violazione di una norma cogente di diritto
internazionale non possono essere riconosciute dagli Stati, e se è vero che il
Kosovo nasce da un uso illecito della forza militare, nel riconoscere la sua
indipendenza lo Stato italiano è venuto meno a un altro obbligo internazionale.
Come autorevolmente suggerito, anziché a un riconoscimento
pieno del sedicente Stato del Kosovo, sarebbe stato preferibile procedere a un
riconoscimento de facto, che quanto
meno avrebbe riconosciuto come instabile la situazione presente nella regione.
E del resto, occorrerà vedere cosa succederà in seguito e come il Kosovo potrà
effettivamente prendere parte alle relazioni internazionali. Non è da
sottovalutare il fatto che molto probabilmente non entrerà mai a far parte
dell’ONU. E infatti, per l’adesione alle Nazioni Unite è necessario il voto
favorevole dei membri permanenti del CdS, quindi della Federazione Russa, che
non intende riconoscere il Kosovo e che si è già opposta con forza all’adozione
del rapporto Ahtisaari.