
La crisi alimentare rilancia l’olio di palma

23 Giugno 2022
Negli scorsi anni è stata fatta una guerra senza frontiera all’olio di palma, anche perché la produzione aveva causato la distruzione delle foreste pluviali nel sud-est asiatico. L’utilizzo era molto diminuito, ma la guerra in Ucraina ha cambiato lo scenario. Dal Paese invaso da Putin e dalla stessa Russia, infatti, proveniva circa il 65% della fornitura globale di olio di girasole, sostituto dell’olio di palma. Così, i produttori di tutto il mondo stanno nuovamente invertendo la rotta a causa dell’impossibilità di importare dall’Ucraina.
Una scelta obbligata
È in atto il tentativo di puntare su altri oli commestibili, come l’olio di colza, o quantomeno sull’olio di palma sostenibile. Diverse catene britanniche, come Iceland Foods, Morrisons e Sainsbury’s Supermarkets, sono state pioniere nell’annuncio di questa ricerca, pur prendendo in considerazione di tornare all’utilizzo di tale olio temporaneamente.
Il caso di Nestlé: olio di palma sostenibile
La sostenibilità dell’olio di palma è un obiettivo dichiarato di alcune imprese, tra cui Nestlé. Entro il 2023, infatti, produrrà esclusivamente con olio di palma certificato come sostenibile. Inoltre, ha assicurato che la crisi alimentare in atto non scombussolerà i propri piani.
Chi produce questo tipo di olio si impegna a non deforestare, non bonificare nuovi terreni e soddisfare criteri sociali e di governance nell’interesse dei lavoratori.
Chi guadagna dall’olio di palma
Gli esportatori di olio di palma non si sono fatti pregare e hanno subito l’occasione di riconquistare quote di mercato. La Malesia, il secondo maggior fornitore del mondo, è stata esplicita nel dichiarare la propria volontà di soddisfare la crescente domanda mondiale.
Il governo malese ha addirittura affermato che trarrà vantaggio dalla tensione politica nel Mar Nero e sta anche spingendo per il riconoscimento del proprio piano nazionale di certificazione dell’olio di palma sostenibile. Per la Malesia è un’enorme opportunità di sviluppo, visto che l’Indonesia, primo esportatore al mondo, ha deciso, al contrario, di limitare il commercio della materia prima.
I numeri della crisi alimentare
Al di là dell’olio di girasole, da Russia e Ucraina dipendeva il 25% della fornitura mondiale di grano, il 20% di quella di orzo e il 18% di quella di mais. Parliamo di quantità enormi.
Il conflitto ha innescato una serie di problemi di diversa natura: logistica, tempistica del raccolto e impennata dei costi dei fertilizzanti. I prezzi dei generi alimentari hanno raggiunto livelli record.
I governi di Indonesia, India e Argentina hanno deciso di limitare le esportazioni al fine di salvaguardare le proprie derrate alimentari. Si è così ridotta ulteriormente la disponibilità di ingredienti critici come grano, zucchero e oli vegetali.