
La deterrenza nell’era tripolare: la sfida nucleare di USA, Russia e Cina

08 Agosto 2025
Di fronte a due giganti in ascesa, l’America deve ripensare l’essenza stessa della sua deterrenza nucleare. Se un tempo bastava guardare a Mosca per calibrare arsenali e dottrine, oggi bisogna voltarsi anche verso Pechino. La Guerra Fredda era un gioco a due: l’equilibrio del terrore si reggeva su un duello. Oggi il tavolo è tripolare, e la posta in gioco è un ordine internazionale che vacilla.
Nel suo editoriale per “The American Enterprise” (29 luglio 2025), Kyle Balzer disegna con chiarezza il nuovo paesaggio nucleare: un mondo in cui Washington si trova ad affrontare simultaneamente due concorrenti nucleari alla pari. Un evento mai visto nell’era atomica. Non più la sola Russia, ma anche la Cina: due colossi eurasiatici che hanno capito che il vero potere non è tanto nella distruzione, quanto nella minaccia di usarla.
Mosca ha circa 2.000 testate sub-strategiche, pronte a essere usate come carta psicologica per scoraggiare ogni intervento occidentale in Ucraina. La Cina, dal canto suo, ha triplicato il proprio arsenale in cinque anni e mira a superare, per numero, quello statunitense entro il 2035. Due nemici, due dottrine, ma un’unica strategia condivisa: quella della coercizione nucleare.
La lezione, scrive Balzer, è antica ma ancora valida: non basta contare i missili, bisogna comprendere le intenzioni. E le intenzioni di Putin e Xi convergono su un punto: indebolire le alleanze americane. Non lanciare bombe, ma separare Washington da Varsavia, da Tokyo, da Kiev. Perché se salta la fiducia nella protezione americana, l’intero ordine post-1945 rischia di dissolversi.
Che fare, allora? Tornare alla sostanza della deterrenza, dice Balzer, e non limitarsi a posture simboliche. Una deterrenza reale richiede forze credibili, capaci non solo di sopravvivere a un primo attacco, ma di rispondere in modo proporzionato e mirato. Occorre mantenere la capacità di colpire le forze avversarie (la dottrina del counterforce), senza cedere alla tentazione di puntare solo su obiettivi industriali o civili. La minaccia è credibile solo se è chirurgica.
Storicamente, l’America ha saputo adattarsi. Negli anni ’80, i Pershing II e i Cruise schierati in Europa furono la risposta concreta ai SS-20 sovietici. Non si trattava solo di quantità, ma di messaggi chiari: l’escalation convenzionale avrebbe portato, se necessario, alla risposta nucleare. Questo fece fallire la teoria sovietica della “scissione” fra Europa e Stati Uniti. Oggi, di fronte a due revisionismi paralleli, serve lo stesso coraggio concettuale.
Trump, con la sua solita retorica da saloon, ha evocato i sottomarini americani capaci di annientare la Russia in mezz’ora. Ma dietro l’iperbole, c’è un’intuizione corretta: il deterrente esiste solo se è percepito come tale. Non serve aumentare gli arsenali all’infinito, ma renderli visibili, pronti, coerenti con una strategia.
L’Europa, da parte sua, non può più restare nel limbo. La sua sicurezza è legata a doppio filo alla credibilità della deterrenza americana. Ma la credibilità si alimenta con la chiarezza. E oggi, mentre Parigi rilancia l’idea di una “force de frappe” europea, il rischio è che il continente torni a frantumarsi in alleanze diseguali.
Il mondo tripolare non consente ambiguità. Se la Russia minaccia a est e la Cina pressa a ovest, l’America deve mostrare il volto serio della forza. Con numeri, posture e dottrine credibili e aggiornate. La deterrenza, dopotutto, è l’arte di non usare ciò che si è pronti a usare. Ma non si può dissuadere nessuno se chi si vuole proteggere dubita della volontà di farlo. Un mondo in cui Washington non è più credibile è un mondo in cui l’Europa dovrà decidere se credere solo nei trattati o iniziare a costruirsi i propri silos.