La guerra di Libia è il primo passo verso l’occidentalizzazione dell’islam

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La guerra di Libia è il primo passo verso l’occidentalizzazione dell’islam

06 Settembre 2011

La liberazione della Libia è stata la prima guerra autenticamente europea dalla fine dei sistemi coloniali formali. Guerra europea perché il problema politico fondamentale ad essa sotteso è quello del controllo, lungo il mediterraneo, dei paesi musulmani da parte delle potenze europee. Va detto, sin d’ora, che tutto ciò è stato possibile soltanto a partire dal ripensamento della gestione degli spazi mondiali da parte degli Stati Uniti, inaugurato con la presidenza di Obama ed il Discorso del Cairo, contrassegnato da due punti chiave: l’islam come “parte integrante” dell’America e l’idea che, se la democrazia non si deve imporre ad una nazione, “i governi che proteggono e tutelano i diritti sono in definitiva i più stabili, quelli di maggior successo, i più sicuri”.

Dopo l’Iraq, la “primavera araba” sembra corrispondere all’idea di un cordone sanitario e strategico che, lungo l’Africa settentrionale, è condizione per l’esercizio in modo indiretto del controllo da parte degli Stati Uniti. È la prima volta che si assiste ad un allineamento di Paesi musulmani entro l’asse politico occidentale (è la prima volta, del resto, che nelle manifestazioni di piazza non si vedono bruciare le bandiere degli Stati Uniti). L’islam, in tal senso, diviene davvero “parte integrante” degli spazi occidentali. Gli Stati Uniti hanno, oggi, intensificato – e non diminuito – l’intervento esterno, molto più di quanto non sia accaduto con la presidenza Bush. Ma, ripensato in termini di “allineamento delle province” dell’impero, tale intervento ha avuto per conseguenza quella di coinvolgere direttamente le responsabilità ed il controllo di quelle posizioni spaziali da parte dei paesi dell’Europa.

Per tale ragione la “liberazione” della Libia è stata una guerra europea, una guerra cioè in cui si è determinato – perché tale era la posta in gioco – quali tra gli Stati europei saranno chiamati a sostenere il compito di mantenere l’allineamento di quell’area nell’orbita occidentale. L’alleanza anglo-francese ha, evidentemente, vinto questa guerra. Vittoria preparata, pensata e resa possibile dal trattato di collaborazione militare firmato tra i due Paesi il 2 Novembre 2010. Alla Francia è stato riconosciuto il controllo decisivo dell’Europa occidentale e mediterranea; controllo dal quale, ora, dipenderanno i due Stati che hanno perduto questa guerra: la Spagna e l’Italia. Sarebbe, del resto, improprio voler giudicare i rapporti tra Italia e Francia sulla base del solo problema del riassestamento delle relazioni ed influenze economiche con la Libia del dopo-Gheddafi.

Il “colonialismo datore” – ossia, secondo la formula di Kojève, un colonialismo di investimenti diretti che diano ai paesi sottosviluppati molto più di quanto riceva e che copra, geograficamente, tutta la regione mediterranea  – è prima fenomeno politico che economico. Lo sviluppo finanziario che si sosterrà in Libia, infatti, sarà funzionale a svolgere il compito chiave di mantenere l’ “allineamento” di quei Paesi africani nel sistema occidentale. Sotto il profilo politico, è pertanto illusorio pensare che il mantenimento dei contratti con le imprese italiane da parte del nuovo governo libico possa garantire all’Italia un ruolo politico che la guerra le ha ormai reso impossibile.

Difficile è dire se la Germania abbia perduto questa guerra. I suoi rapporti con la Francia non sembrano essere stati messi in discussione, se questo stesso mese i due Paesi hanno concordato i nuovi indirizzi della politica economica europea. Nello stesso tempo, la posizione tedesca resta radicata nell’Est europeo ed al centro dei problemi chiave delle relazioni europee con la Russia e la Turchia. Se, tuttavia, questa guerra non ha, come sembra, determinato una crisi dei rapporti tra Francia e Germania, ciò significa che, in essa, non sono stati coinvolti problemi di egemonia sul continente europeo: è l’asse Nord-Sud che ha subito un essenziale riassestamento. La “primavera araba”, infatti, pone la questione strategica fondamentale se l’islam potrà o meno costituirsi come parte integrante dello spazio occidentale.

Questione che importa un profondo ripensamento dell’Unione Europea, la quale è, ancora, pensata in termini di nazioni, nonché del senso politico e culturale di quegli spazi europei. Francia e Inghilterra hanno intuito quello spostamento, il quale comporterà la necessità, per l’Europa, di abbandonare l’asse Est-Ovest su cui è stato costruito il suo equilibrio.  Come controllare questo spazio, sarà il compito essenziale che la prossima Conferenza di Parigi sarà chiamata ad iniziare a dover sostenere. Non c’è infatti impero – come scriveva Ortega y Gasset – senza un piano di vita imperiale.

Il che, nel caso di specie, indica anche che la scelta dell’integrazione dell’Islam – quello che Lévi-Strauss definiva l’Occidente dell’Oriente – nel sistema spaziale europeo, nell’allineamento, tradisce un’idea imperiale precisa, la quale corrisponde alla necessità di rafforzare l’opposizione con l’Oriente Estremo. Integrare l’islam nell’asse spaziale politico occidentale significa, infatti, tentare di rafforzare l‘interdizione-chiave di cui l’islam è la naturale ed essenziale portatrice. Significa rafforzare, in altri termini, quella barriera tra Oriente ed Occidente di cui è la religione islamica la forza fondamentale, il custode ed il vero e proprio katéchon, in quanto l’islam è, nella sua radice, la negazione e la separazione del mondo musulmano dall’Oriente, è la sua occidentalizzazione.