La guerra in Iraq vista dagli inglesi
31 Marzo 2008
di Daniela Coli
Come Leonardo Tirabassi sono convinta che una guerra risulta ingiusta o sbagliata secondo le difficoltà a vincerla. Cinque anni fa guardando “shock and wave” a casa di fronte alla tv, la guerra in Iraq sembrava un film. Gli americani e gli inglesi avanzavano verso Baghdad, il dittatore Saddam era sparito dalla circolazione e sulla scena era rimasto Alì il chimico, che divenne la figura cult del conflitto. Mentre i carri armati marciavano verso Baghdad, Alì il chimico dette una conferenza dove disse: “Li circonderemo e uccideremo la maggior parte di loro”. L’esercito iracheno non oppose resistenza: questa è probabilmente la chiave del conflitto iracheno e delle difficoltà successive incontrate dagli americani, per i quali i problemi sono cominciati quando sono entrati in Baghdad, quando – abbattuto il tiranno – la guerra sembrava finita. Invece era solo cominciata. Dobbiamo al Times la maggior parte delle inchieste e delle notizie. Gli inglesi hanno partecipato militarmente alla guerra – diversamente da noi che abbiamo mandato una missione di pace – e vogliono capire perché nonostante il surge di Petraeus e l’invio di oltre 30mila uomini abbia prodotto dei risultati, la situazione sia ancora lontano dall’essere stabilizzata. In Italia il dibattito sulla guerra in Iraq è stato ideologico e a uso interno, perché manca una cultura della guerra e dell’interesse nazionale. La democrazia da noi non è ancora diventata l’interfaccia dello stato nazionale e la nostra politica estera è bombastic, da operetta, come dicono all’estero: ci si divide tra filoamericani e antiamericani, mentre in gioco