La Lega come guida delle riforme istituzionali? No, grazie

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La Lega come guida delle riforme istituzionali? No, grazie

09 Aprile 2010

Per valutare con cognizione di causa la richiesta, avanzata dai dirigenti della Lega, di gestire in prima persona le riforme istituzionali che il centro destra vuole mettere in cantiere in questa seconda parte della legislatura, occorre ragionare con la giusta prospettiva cronologica, senza appiattirsi sull’attualità, ma partendo da un antefatto storico.

La crisi del sistema politico italiano è anche (se non soprattutto) crisi di una forma di governo. Il collasso della prima repubblica ha segnato la crisi anche di una organizzazione dei poteri invecchiata e incapace di rispondere alle sfide del nostro tempo. Durante il lungo dopoguerra l’Italia si è retta con un sistema di assemblearismo partitocratico, caratterizzato da governi deboli, maggioranze instabili, impossibilità dell’alternanza. Il sistema, per quanto sclerotizzato, ha retto fino alla fine della guerra fredda. Poi ha collassato di colpo. A quel punto sarebbe stato necessario un nuovo patto costituente che riscrivesse le regole del gioco, consentendo il passaggio da una democrazia bloccata dei partiti a una democrazia immediata dell’opinione. Purtroppo sono mancate la condizioni per conseguire questo obiettivo in tempi rapidi. Si è iniziata così, sotto la spinta di un diffuso ma impreciso sentimento popolare, una transizione confusa e scomposta. Molti erano gli ostacoli che occorreva superare. Sia di ordine culturale (complesso del tiranno diffusa nella classe dirigente, idea che i partiti di massa fossero la forma suprema dell’organizzazione politica), che di ordine più propriamente politico (necessità di legittimare al governo la destra, fare i conti con il massimalismo di sinistra, tenere a bada la piccole ma aggressive componenti politicizzate dell’ordine giudiziario).

Per accorciare i tempi di questa transizione la Lega è stata sempre di ostacolo. Va ricordato, anzitutto, il ribaltone del 1994 che ha azzoppato irrimediabilmente un processo di ridefinizione degli equilibri politici. Negli anni successivi la situazione non è migliorata. Tra il 1997 ed il 1998 la Lega ha dato il proprio apporto al fallimento della bicamerale presieduta da D’Alema. Certo, in quel caso le responsabilità del naufragio del tentativo riformatore vanno ascritte soprattutto ad altri, ma il partito di Bossi ha dato il suo contributo di confusione e di miope tatticismo.

Le cose non sono migliorate con il ritorno dei leghisti al governo. Durante la XIV legislatura il progetto di riforma costituzionale, approvato dal parlamento e poi bocciato dal referendum del 2006, era difettoso nella definizione dei poteri della seconda camera, sulla quale avevano insistito soprattutto i leghisti.

In tempi più recenti, quando si è avviato il processo che ha portato alla nascita del PdL la Lega non solo non ha partecipato alla creazione di una casa comune del centro destra, ma ha sbertucciato l’iniziativa ritenendo che essa mettesse in discussione la purezza identitaria del movimento. Ancora lo scorso anno il partito di Bossi si è opposto strenuamente a far tenere il referendum "Guzzetta" sulla legge elettorale in contemporanea con le elezioni europee, come sarebbe stato logico. Questo perché era consapevole che la nuova legge elettorale prodotta dalla consultazione avrebbe favorito una maggiore omogeneità del quadro politico, annullando, o almeno riducendo di molto, il potere d’interdizione della Lega. In tutt’uno, dopo il 2001 la Lega ha dimostrato certo lealtà verso il centro destra, ma ha continuato a tenere un comportamento schiettamente partitocratico. Teso cioè a difendere l’interesse del partito prima e sopra l’interesse generale.

Dire adesso, come ha fatto l’altro giorno il ministro degli interni Maroni, che la Lega può legittimamente aspirare a guidare il processo di riforma costituzionale perché essa è "il vero motore" del cambiamento è dire una cosa, perlomeno, inesatta. I leghisti pensino a governare imparando a farsi carico dei problemi del paese, senza rincorrere tutti i particolarismi e, soprattutto, smettendo di coltivare l’idea di creare riserve di caccia sottratte alla sovranità nazionale. Delle riforme istituzionali necessarie al paese è molto meglio che si faccia carico, anzitutto, il partito di maggioranza relativa, evitando nuovi pasticci leghisti.

Maurizio Griffo