La somiglianza tra Vendola e Zapatero si misura nell’economia

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La somiglianza tra Vendola e Zapatero si misura nell’economia

05 Febbraio 2010

 

Forse non tutti ricorderanno quando la Spagna di Zapatero nel dicembre del 2007 gareggiava con l’Italia sul Pil, vantando di aver ingranato la marcia giusta e d’essere in corsia di sorpasso. Anche quella era una bufala, esattamente come quella di Prodi che diceva di aver sistemato i conti in Italia. Nel 2006, – dopo che il centrosinistra, con soli 24mila voti in più, aveva vinto le elezioni, governava il Paese e dominava la scena, occupandola dalla platea al loggione – l’Italia sistemava i conti solo grazie alla finanziaria 2006 di Tremonti. Il nostro Paese era, infatti, sufficientemente rientrato nei parametri di Maastricht. La maggior incidenza della spesa era, per decisione della Corte europea, dovuta solo al rimborso IVA sulle vetture aziendali e agli accumuli negli esercizi precedenti.

Il salasso fiscale del duo Padoa Schioppa – Visco nella finanziaria 2006 era servito, invece, a finanziare le clientele, a dare soldi alla Fiat ed al capitalismo amico, ad accontentare i pensionati di Bertinotti che potettero uscire dal lavoro un anno e mezzo prima (costo 10 miliardi di Euro). A sinistra la sindrome dell’autoesaltazione è una patologia comune e diffusa. A volte, anche le bufale sono ben contraffatte.

Nel 2007, la Spagna di Zapatero era invece ben lontana dal Pil italiano e, come la sinistra in Italia, puntava all’effetto annuncio. Un po’ come, con tutto il rispetto per Zapatero, fa Vendola in Puglia, i cui discorsi sono del tutto fumosi, privi di proposte ed effetti concreti, spesso limitati a sollevare polveroni ed a dar corso a battaglie ideologiche.

La Spagna di Zapatero è infatti allo sfascio, almeno quanto lo è la Puglia di Vendola. La bolla immobiliare, che già nel 2007 aveva manifestato i suoi sintomi, è ora deflagrata e la disoccupazione supera il 20%. Anche in Puglia ci sono i sintomi della sfascio produttivo e industriale, e la disoccupazione ha superato il livello di guardia. I servizi sociali sono al collasso, l’economia è ferma, le aziende chiudono, il territorio è in degrado, mentre  la sanità macina debiti e brilla per episodi di malcostume e di cattiva gestione.

A quei tempi, nel 2007, in Spagna il filo – neanche troppo sottile – che separava la realtà dall’effetto annuncio, era stato il raffronto del Pil pro capite, ipotizzando la parità del potere di acquisto calcolato sul livello generale dei prezzi delle due economie. Come dire che il Pil pro capite di un paese della Lucania o della Calabria, ad esempio, sia superiore a quello di Milano. E solo perché i prezzi, dagli immobili ai prodotti agricoli e alimentari; dall’abbigliamento a quelli strumentali ed artigianali, in molti paesi del Sud sono più contenuti di quelli delle grandi città del Nord.

C’era stato in  Spagna un grande impegno, ai tempi di Aznar, per recuperare terreno nei confronti degli altri paesi europei. Erano state adottate politiche di  buona visione prospettica, coerenti nel favorire l’uso della leva fiscale e la produzione e, attraverso quest’ultima, l’occupazione. Erano stati realizzati piani di infrastrutture logistiche e strumentali per migliorare lo stato dell’economia, con aree di mercato conquistate e con l’allargamento dell’offerta concorrenziale delle merci.

In Spagna questo processo è stato interrotto con Zapatero. E’ stato interrotto con l’inaspettato prevalere della sinistra nelle elezioni spagnole del marzo del 2004. Il successo elettorale era maturato dopo una gestione problematica, da parte del Governo di Aznar, del violento attacco terroristico dell’11 marzo 2004 a Madrid, 3 giorni prima delle elezioni, con circa 200 morti ed oltre 2mila feriti. Si può affermare che Zapatero abbia interrotto un ciclo virtuoso, ed è facile dirlo ora che in Spagna prevalgono sintomi di profonda crisi economica ed i pericoli di un grave collasso sociale.

Si può, ora, con facilità sostenere che in Spagna – più che i matrimoni gay – il governo avrebbe dovuto seguire la crescita dell’economia con politiche di rafforzamento della produzione e di allargamento dei mercati. Alla prima crisi mondiale, infatti, il paese iberico non ha retto. Zapatero e la sinistra spagnola hanno così disilluso quanti avevano ritenuto che si potessero introdurre politiche sociali di spesa, senza il sostegno di una forte economia. La logica dell’economia non può, però, solo appartenere alla retorica delle recriminazioni, ma deve anche avere un valore propositivo, soprattutto dovrebbe servire ad ammonire quanti ritengono che di certi principi se ne possa fare a meno.

Questo vale in Spagna, come in Italia, e nel caso anche in Puglia, dove s’avverte la presenza di una sinistra ideologica e populista. In Puglia sembra che permanga invece il senso di una illusione messianica: ed è l’esatta sensazione che prevaleva nella Spagna di Zapatero. In Puglia c’è chi pensa che tutto debba avvenire per obbligo del destino. Ma non è così. Non vale per tutti a Bari, ad esempio, come accade invece a Milano, il “non poteva non sapere”, ed in Puglia la giustizia non è detto che debba necessariamente fare il suo corso e che sia insindacabile. Se entra nei santuari del “politicamente corretto”, la reazione si sente. Eccome.

Nella Puglia di Vendola si avverte la presenza di una rete che occupa il territorio. Una rete che illude, che spende, che promette, che alimenta le clientele e sistema gli amici. Il pericolo è che, alla fine le illusioni si pagano care, proprio come sta accadendo nella Spagna di Zapatero.