L’Abruzzo, i centristi e quella prateria che non si riesce a coltivare

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L’Abruzzo, i centristi e quella prateria che non si riesce a coltivare

L’Abruzzo, i centristi e quella prateria che non si riesce a coltivare

11 Marzo 2024

Marco Marsilio diventa per la seconda volta presidente dell’Abruzzo, per la prima volta nella storia della Regione. Giorgia Meloni tira un sospiro di sollievo. Le cassandre sul “trend” negativo per il governo partito in Sardegna con la vittoria del “campo largo” sono state smentite. A guardare i risultati elettorali però la notizia sembra anche un’altra. C’è vita nel centro dello spettro politico, almeno tra chi ancora decide di andare a votare.

Forza Italia viaggia verso il 14 per cento, doppiando quasi la Lega, che si accontenta di aver preso più dei 5 Stelle. Noi Moderati sfiora il 3 per cento, l’Udc-Dc si assicura l’1,7, dall’altra parte della barricata Azione di Carlo Calenda il 4 per cento. Ovviamente parliamo di forze politiche distribuite su fronti opposti che, considerando il contesto politico attuale, al momento sarebbe fantascientifico considerare in uno schema comune. Ma l’impressione che uno spazio da coltivare al centro vi sia, quella resta. “Una prateria,” secondo Gaetano Quagliariello, Presidente della Fondazione Magna Carta, tra i promotori e fondatori di Base popolare.

Ci sono però tutta una serie di problemi che cozzano con questa sensazione. Lo spazio al centro ha bisogno di una proposta programmatica, che non c’è. Quello spazio avrebbe bisogno di incarnarsi in leader politici moderati, che non si trovano. Se mai, gli elettori liberali e popolari debbono fare i conti con una sorta di centro radicale sia nei messaggi che nello stile delle leadership, due aspetti, diciamo così, non proprio confacenti per un elettore moderato. Se a questo aggiungiamo che gli ultimi risultati elettorali sembrano confermare il formato vagamente bipolare delle coalizioni di governo ecco un altro elemento che gioca a sfavore dei centristi.

“Oggi, diciamolo chiaramente, siamo in presenza di due guerre, di una di un quadro internazionale molto difficile,” spiega Quagliariello. “Abbiamo il problema di un rinnovo non scontato della Commissione europea, poi avremo il problema delle presidenziali americane. Ecco, l’elettore moderato su tutti questo vorrebbe essere rassicurato. Ma oggi non trova rassicurazioni, né da una parte né dall’altra”. Nell’anno dell’anniversario di uno dei padri della patria, De Gasperi, di leader moderati non se ne trovano, né si può “fabbricarli in laboratorio”. La questione allora è se quella percezione possa concretizzarsi in un consenso reale e soprattutto in nuove strategie o geometrie politiche.

Si potrebbe iniziare, per esempio, ad essere meno litigiosi, vista com’è finita l’avventura tra Renzi e Calenda (che pure era iniziata discretamente alle politiche), decisi a presentarsi divisi alle Europee nonostante appartengano alla stessa famiglia politica liberale. Ma quello che davvero servirebbe all’area politica moderata è “ripensare un modo di stare insieme, cioè quella che si chiama una forma partito”, ragiona Quagliariello. Una forma partito che superi le leadership proprietarie che caratterizzano la politica odierna, cioè fondamentalmente il fatto che i leader sono diventati i proprietari dei loro partiti. “Poiché della leadership non si può fare a meno, è necessario trovare una forma che consenta di passare dalle leadership proprietarie alle leadership comunitarie”, per cui, secondo il presidente di Magna Carta, un leader capace di svolgere questo ruolo per servizio e per un determinato periodo di tempo, una volta finita la sua esperienza dovrebbe tornare fra i ranghi, come avviene nei grandi partiti popolari europei.

Insomma, senza una nuova idea di forma partito il centro non va da nessuna parte. Dicevamo della questione programmatica, ovvero la necessità di una proposta politica moderata. Il mondo sta cambiando, siamo davanti a sfide enormi che mettono in discussione la stessa nozione antropologica dell’umano, si pensi alla rivoluzione tecnologica. Ma con grandi questioni come questa i moderati si confrontano poco, preferendo avere atteggiamenti nostalgici o accontentandosi di risultati minimi. Sullo sfondo, la disaffezione, come la chiamano da anni, verso la politica. L’astensionismo. E pezzi di elettorato, come quello cattolico, che fanno ancora fatica a orientarsi, non avendo reali referenti politici a cui affidare il proprio voto, anche in ragione di tutto quello che abbiamo detto finora.