Legge di bilancio, nessuna nostalgia per il “vol au vent”
31 Ottobre 2023
Arriva finalmente in Parlamento il disegno di legge di bilancio per il 2024. Il Governo lo fa con qualche settimana di ritardo, atteso che la nostra legge di contabilità dispone che l’esecutivo trasmetta alle Camere il d.d.l. di bilancio entro il 15 ottobre di ciascun anno. Ma non è questa la notizia considerato che negli ultimi anni il Governo non ha quasi mai rispettato il termine di legge, termine che del resto ha natura meramente ordinatoria e quindi non è vincolante.
La vera novità della sessione di bilancio che è appena cominciata è l’annuncio più volte espresso dal Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha invitato tutti i gruppi ed i parlamentari di maggioranza a non presentare emendamenti al d.d.l. durante l’iter parlamentare. Questa sì, se l’invito della Meloni venisse accolto, sarebbe una storica novità per il nostro Paese.
Dal 1976, anno in cui venne superato il principio costituzionale della natura meramente formale della legge di bilancio (la quale cioè non poteva apportare modifiche alla legislazione di spesa già approvata), mai il disegno di legge di bilancio (in passato disegno di legge finanziaria, poi disegno di legge di stabilità) è diventato legge senza che venissero approvati numerosi emendamenti presentati da parlamentari della maggioranza.
Naturalmente, come sempre accade dalle nostre parti, l’invito della Meloni ha dato la stura a tutta una serie di proteste e contestazioni nelle quali si sono distinti alcuni leader delle forze politiche di opposizione ed alcuni intellettuali in cerca di un po’ di visibilità. Il Governo sta cercando di “esautorare” il Parlamento, il Governo così facendo “umilia” la democrazia, il Governo starebbe cercando di imporre una riforma costituzionale nel senso del presidenzialismo o del premierato forte senza nemmeno assumersi l’onere di presentare le proprie proposte di riforma della Costituzione.
Tutte critiche che partono da una premessa comune, una premessa che identifica la natura democratica di una procedura istituzionale con l’ampiezza del potere di emendamento riconosciuto a ciascun parlamentare. In realtà, chiunque ha osservato da vicino le sessioni di bilancio degli ultimi 50 anni sa che la massa enorme di emendamenti che venivano presentati lungi dal rappresentare un fulgido esempio di democraticità del sistema erano piuttosto il sintomo di una grave disfunzione del nostro sistema istituzionale.
Gli emendamenti, che normalmente raggiungevano cifre monstre pari a svariate migliaia, erano piuttosto il frutto di iniziative lobbistiche, localistiche e corporative dirette a procurare vantaggi ai destinatari della disposizione approfittando della concentrazione decisionale, e quindi della scarsa trasparenza e pubblicità.
Già nel 1903 un grande economista italiano, Amilcare Puviani elaborò la teoria dell’illusione finanziaria che caratterizza il processo decisionale di spesa dello Stato e che fa sì che normalmente la quantità e qualità delle spese pubbliche raggiunga livelli superiori a quelli che sarebbero ottimali sulla base delle preferenze dei contribuenti.
Fenomeni di illusione che derivano in particolare dalla presenza di asimmetrie informative nella percezione dei costi e dei benefici di ciascuna decisione, tali da determinare il fatto che la resistenza ad una certa decisione da parte di chi ne sopporterà il costo sarà molto più debole dell’appoggio in suo favore da parte di chi da quella decisione trarrà un benefizio. E si tratta in particolare dell’asimmetria fra benefici attuali e costi futuri, tra benefici concentrati su pochi beneficiari e costi diffusi fra una moltitudine di contribuenti, fra benefici molto visibili e costi sostanzialmente occulti.
Ebbene tutte queste tre asimmetrie informative si verificano nell’ambito della decisione di bilancio la gran parte delle cui decisioni di spesa hanno carattere concentrato, attuale e visibile a fronte di costi spesso diffusi, futuri e occulti. E proprio queste imperfezioni del processo decisionale spiegano la deriva che ha preso il nostro sistema di finanza pubblica che, soprattutto negli anni in cui non vi era alcun meccanismo di freno e contenimento ha accumulato un debito pubblico monstre, il quinto più alto del mondo.
Ed è facile comprendere quale ruolo in questa deriva abbia rivestito il periodo della finanziaria omnibus e dell’assalto alla diligenza. Durante la prima Repubblica era abitudine dei Governi presentarsi in Parlamento per l’esame del d.d.l. bilancio con un fondo di risorse appostato con il preciso obiettivo di rendere possibile l’approvazione di emendamenti dei parlamentari, di tutti i gruppi, di maggioranza e di opposizione. Si trattava di un fondo di notevole consistenza che poteva raggiungere la somma di 20.000 miliardi lire, pari a circa 10 miliardi di euro di oggi.
Durante il mandato come Ministro del bilancio di Paolo Cirino Pomicino questo fondo acquisì anche un curioso nomignolo, frutto della genialità partenopea e altamente significativo: il vol au vent. Ebbene ad un certo punto dell’esame il Ministro riuniva i capigruppo della Commissione bilancio per esaminare tutti gli emendamenti dei parlamentari e decidere quali sarebbero stati approvati nell’ambito delle risorse del vol au vent. A ciascun gruppo anche d’opposizione era riservata una certa quota del vol au vent e bisognava solo conoscere le priorità del gruppo per selezionare gli emendamenti che sarebbero entrati nel testo.
Che oggi di fronte alle necessità dei nostri conti pubblici, duramente provati dalla necessità di fronteggiare le emergenze che si sono verificate negli ultimi anni (COVID, guerra in Ucraina…) il Governo cerchi di indurre i gruppi parlamentari della propria maggioranza ad un atteggiamento di serietà e rigore non solo non costituisce un attentato alla democraticità delle nostre istituzioni ma rappresenta prova eccellente di responsabilità.
Del resto occorre sempre ricordare che in Europa esistono importanti democrazie (Francia, Regno unito) nelle quali l’emendabilità parlamentare del disegno di legge di bilancio è fortemente compressa senza che nessuno possa dubitare del carattere democratico di quei sistemi. E senza nessuna nostalgia per il vol au vent di pomiciniana memoria!