L’estremismo islamico minaccia anche l’Italia ma esiste il modo di fermarlo
23 Ottobre 2009
La sharia in Europa e in Italia, le corti islamiche in luogo dei tribunali ordinari, le minacce degli estremisti islamici, la paura delle donne musulmane segregate, la tragica responsabilità della Sinistra nostrana e internazionale: su questo e molto altro abbiamo sentito l’opinione di Souad Sbai, deputata del Parlamento italiano per il Popolo della Libertà (PdL) e Presidente di ACMID-Donna Onlus, Associazione delle Comunità Marocchina delle Donne in Italia.
Onorevole Sbai, può dire ai nostri lettori quali sono il suo impegno e i suoi maggiori interessi in questa legislatura?
Sono impegnata da sempre sui temi della lotta alla violenza contro le donne, di qualunque provenienza esse siano, attività che da anni porto avanti come. E ovviamente sono impegnata sul versante dell’immigrazione al fine di poter disegnare per l’Italia un modello di multiculturalismo lontano da derive nichiliste che tanti danni hanno compiuto nel resto d’Europa: un modello che sappia coniugare con efficacia la sicurezza di tutti i cittadini, da un lato, l’integrazione e l’accoglienza dall’altro.
Onorevole Sbai, è stata mai minacciata da gruppi islamici per le sue attività?
Si, sono stata minacciata da alcuni estremisti che hanno addirittura lanciato un fatwa contro di me. Sulla questione il Tribunale di Bologna mi ha dato ragione riconoscendo non solo la sussistenza dei fatti, ma inquadrando le minacce come penalmente rilevanti. Sentenza, quest’ultima, storica sotto il profilo giuridico perché crea un importante precedente che costituisce il primo gradino per non lasciare margine ai cosiddetti reati culturali: reati, purtroppo tollerati in Paesi spesso ritenuti civilissimi come la Germania.
C’è molta confusione nella gente: spieghiamo qual è la differenza fra essere musulmano ed essere integralista.
Sono assolutamente convinta che ognuno debba avere la libertà di professare il proprio credo religioso. Ma confondere l’Islam con certe frange estremiste che vogliono imporre un modello teocratico sprezzante della sacralità della vita, dell’importanza del ruolo della donna nella società, dei diritti umani e del diritto di ogni uomo a tutelare la propria dignità, è un grosso errore. Un conto è la professione di fede, un altro è l’utilizzo di quello stesso credo religioso per fini grettamente politici.
Il radicalismo religioso è tanto forte quanto minoritario nelle società islamiche. Come si può combattere?
Si tratta sicuramente di un fenomeno ben circoscritto, che è andato sempre più sviluppandosi negli ultimi trent’anni del secolo scorso. Il maggiore responsabile del cosiddetto risveglio dell’integralismo religioso è il movimento dei Fratelli Musulmani, nato in Egitto nei primi anni Venti. La battaglia che dobbiamo oggi portare avanti è il sostegno ai musulmani moderati e l’emarginazione delle frange estremiste che creano scompiglio anche in seno alle comunità islamiche e che vogliono piegare la religione musulmana a una bieca strumentalizzazione politica e ideologica che non ha nulla a che fare con la professione di fede.
Il jihad, al di là dei luoghi comuni.
La parola connota un ampio spettro di significati, dalla lotta interiore spirituale per attingere una perfetta fede fino al combattimento difensivo. Nel suo significato primario esso significa "sforzo" e rappresenta l’impegno personale e non violento che un musulmano deve affrontare nella propria vita religiosa. Oggi il jihad, che avrebbe anche importanti ripercussioni sociali perché volto a combattere la corruzione, la povertà, e le altre piaghe della società, (droga, prostituzione, ecc.), è piegato ideologicamente all’abuso della violenza e alla predicazione d’odio, ed è conosciuto solo come pratica terroristica contro i cosiddetti "infedeli". Esso viene allora utilizzato politicamente e asservito a un’ideologia estremista.
In che modo il jihad rappresenta una minaccia per l’Europa?
Si tratta di una battaglia organizzata e violenta che usa strumenti contemporanei per seminare odio, convertire gli infedeli. In questo l’uso delle telecomunicazioni, di internet e della tv satellitare facilita molto gli estremisti presenti in Europa.
Si può sostenere che all’interpretazione corrente integralista della sharia è sottesa una visione oscurantista maschilista della società?
Assolutamente sì. Chi vuole estromettere sotto la minaccia dei kalashnikov la ricchezza di una società pluralistica, aperta al dialogo e al dibattito sano, ha evidentemente paura. Si tratta degli stessi gruppi che cercano di negare la donna, che la relegano dietro un velo, che la umiliano e la maltrattano o addirittura la uccidano. Ci sono nel mondo arabo esempi di grandi passi verso la modernizzazione: potrei qui citare la Moudawana, il codice di diritto familiare marocchino, recentemente riformato a vantaggio delle donne, o le riforme attuate in Tunisia o ancora quelle che cercano di trovare faticosamente terreno in Egitto.
Se è così, perché le donne musulmane, anche occidentali, l’accettano?
Perché hanno paura, perché sono abbandonate a se stesse, perché non conoscono i loro diritti, perché subiscono la pressione di tradizioni culturali cui temono di ribellarsi. Credo che l’eccidio attuato in Algeria a metà degli anni Novanta e sotto i cui colpi sono cadute più di 300.000 donne sia servito da monito. Vi è per fortuna tutta una parte rappresentata dall’associazionismo femminile nel mondo arabo che lotta ogni giorno per affermare la parità tra uomo e donna, la sacralità della vita, l’universalità dei diritti umani. Proprio all’indomani delle scorse elezioni amministrative in Marocco, trecento donne hanno potuto ricoprire cariche pubbliche: come non ricordare che il sindaco di Marrakech è una donna? Mi colpisce tuttavia il fatto che mentre nei Paesi arabi le donne lottano per affermare i propri diritti ed autodeterminarsi, in Occidente il femminismo di Sinistra giustifica abominevolmente certe barbare prassi culturali, nascondendosi dietro un multiculturalismo nichilista che fa solo danni. È davvero un paradosso che proprio chi è sceso in piazza per difendere la propria libertà sia così lontano oggi dal pensiero liberale.
Perché molti tra i giovani musulmani europei accettano l’integralismo religioso, particolarmente in Gran Bretagna, Francia e Germania?
I giovani musulmani europei, spesso di seconda o terza generazione, sono indottrinati e fomentati all’odio da estremisti che spesso non sanno nulla dell’Islam e di cui pretendono, furbamente, di predicarne i precetti. Irretiti da loschi personaggi, si lasciano plasmare e manipolare in nome di una semantica dell’odio che li sfrutta per farne dei martiri. Sono i governi che devono prendere seri provvedimenti per fare in modo che al loro interno non possa proliferare il germe del terrorismo. In Inghilterra esistono a oggi 85 tribunali sharitici che si stanno sostituendo alla legittime autorità giudiziarie britanniche, sempre in nome di quello strano multiculturalismo che non ha nulla di democratico né di pluralista. In Europa e in Occidente gli estremisti trovano terreno fertile nella democrazia, nel malessere sociale diffuso e in un’integrazione spesso mancata, come ci ha tristemente insegnato la recente cronaca giunta dalle banlieu parigine. La politica è stata troppo molle, troppo buonista, lassista e giustificazionista. Le moschee e gli imam fai da te sono cresciuti esponenzialmente; dagli anni Novanta in poi finanziamenti di dubbia provenienza e che concernono milioni e milioni di dollari sono circolati senza alcun controllo. I nuovi convertiti hanno fatto il resto spesso fomentati da versioni del Corano poco ortodosse o da traduzioni poco fedeli e del tutto personali.
Qual è la situazione nel nostro paese?
In Italia la situazione è drammatica: se non agiamo subito perderemo la seconda generazione di immigrati consegnandola nelle mani di gente senza scrupoli. Per questo è necessario istituire al più presto un albo degli imam e attuare un censimento delle moschee. Guardiamo a quanto fatto dalla Francia che ha messo a capo di tutti i centri di culto islamici la moschea di Parigi. In Italia noi abbiamo la grande moschea moderata di Roma che dovrebbe assumere lo stesso ruolo per controllare e filtrare quanto avviene nelle altre moschee presenti sul territorio italiano. Bisogna poi costruire un percorso reale di integrazione, un percorso saldo e ben strutturato che preveda lo studio della lingua italiana e della Costituzione, l’educazione civica, il giuramento di fedeltà alle leggi e alle istituzioni dello stato. E dall’altro vietare, come è stato fatto, pratiche barbare come le mutilazioni genitali femminili o l’imposizione del velo e del burqa, contro cui in Parlamento è già in discussione la mia proposta di legge, presentata lo scorso 6 maggio, in tempi non ancora sospetti.
La questione delle moschee in Italia e in Europa. Chi le appoggia vi vede la salvaguardia di un diritto sociale o addirittura religioso; chi le avversa vi vede la propaganda sistematica contro i valori occidentali di democrazia e libertà fomentata al loro interno (innumerevoli le documentazioni investigative in tal senso), oltre al rischio che diventino fori giurisprudenziali per i musulmani, in sostituzione dei tribunali ordinari (come sta sempre più succedendo in Inghilterra). Qual è la sua opinione?
L’articolo 19 della Costituzione garantisce la libertà di culto nel nostro Paese. Personalmente non sono contro le moschee in Italia, non voglio assolutamente impedire che ognuno abbia la possibilità di professare la propria fede, Ma non permetterò che quel sottobosco di moschee abusive e fai da te possa crescere e svilupparsi. Il credo religioso è una cosa, l’ideologia un’altra. Per quanto riguarda la sciagurata ipotesi dell’istituzione di una corte islamica in Italia, non permetterò che questo accada. La costituzione stabilisce che il nostro Paese ha un proprio ordinamento giudiziario in base al quale essere giudicati. Solo ed esclusivamente da esso.
Nel mondo e in Italia si è sviluppata anche il legal-jihad, l’abitudine da parte dei movimenti islamisti di querelare i giornalisti che si occupano di islam integralista. Quali garanzie esistono contro tali prevaricazioni?
Innanzitutto non bisogna farsi intimorire. Decine di personalità del mondo intellettuale, politico, giornalistico hanno ricevuto querele per aver espresso la propria opinione. Si tratta di un atteggiamento intimidatorio a cui non deve essere lasciato spazio. Queste querele non hanno i presupposti per esistere. Specie quando a querelare sono soggetti che si sono rifiutati di firmare la Carta dei valori stilata grazie al lavoro dell’ex Ministro Giuliano Amato. Bisogna dunque restare uniti e compatti e mostrare di non aver paura.
Che ne pensa dell’emblematica situazione di alcune piscine italiane – comunali e no – in cui si vorrebbe consentire l’accesso separato per le donne, o l’accesso in costume islamico (velo integrale)?
Non voglio commentare. Invito solo certa gente ad andare a fare un giro sulle spiagge di Casablanca dove regna la libertà.
Le donne di alcuni paesi islamici stanno lottando per togliersi il burka et similia: noi ritroveremo i burka a passeggio per le strade delle nostre città europee?
Assolutamente no! È in discussione alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati la mia proposta di legge che vieta l’uso del burqa e del niqab in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Farò di tutto perché questa legge possa essere approvata: si tratta di una legge tesa a garantire la pubblica sicurezza e la parità di diritti tra uomo e donna, costituzionalmente sancita. Il burqa e il niqab non hanno nulla a che vedere con la religione islamica, ma sono una costumanza medievale introdotta da frange estremiste che temono le donne e cercano in ogni modo di segregarle e annullarle. In Italia non troveranno terreno fertile.