
L’Europa che non vuol più competere

18 Gennaio 2025
Nel 2000 i mercati del Vecchio Continente valevano il 34% della capitalizzazione mondiale. Nel 2024, il 14,5%, meno della metà. Le Borse americane che a inizio millennio pesavano poco meno del 50%, oggi valgono 66,6%; mentre gli emerging market sono raddoppiati, passando dal 5,2% al 10%. L’Europa negli ultimi 20 anni, ha accumulato un ritardo di crescita del Pil e del Pil pro capite del 50% rispetto agli Usa. Dati scioccanti che accendono il faro su due fatti importanti: l’Europa conta sempre meno, gli Europei sono sempre più poveri.
Le ragioni del ritardo europeo
Sono tante le ragioni che spiegano il ritardo europeo. La cronica mancanza di innovazione, basti pensare solo al contributo che l’Intelligenza Artificiale sta portando al valore di aziende come Nvidia, Microsoft, Alphabet ed Apple. La scarsità di investimenti nella difesa, che oltre a incrinare la nostra forza geopolitica, frena l’avanguardia tecnologica di molti settori industriali. “L’ostilità politica nei confronti delle Borse”, per citare l’ing. Tamburi, quando oltreoceano vengono considerate degli “asset strategici essenziali per l’espansione sociale ed economica”.
L’ostilità politica nei confronti delle imprese che troppo spesso vengono considerate organizzazioni sfruttatrici invece che importanti attori sociali per lo sviluppo del paese. L’assenza di un mercato azionario unico in grado di competere con Stati Uniti e Cina, risultato dell’ottusa gelosia con cui i paesi europei difendono le proprie irrilevanti piazze nazionali. La diffidenza culturale delle famiglie verso la finanza: in USA oltre il 25% del risparmio privato è investito in borsa, in italia è meno del 10%!
La cronica incapacità degli imprenditori europei di aggregarsi e generare grandi aziende per competere nel mondo. L’esuberanza regolatoria Europea che, negli ultimi 15 anni, ha generato oltre 13.500 norme, contro le 3.000 emanate dagli Stati Uniti. Il furore ideologico di Bruxelles nell’affrontare la transizione energetica che rischia di desertificare interi settori industriali. La mancanza di una policy industriale ed energetica di lungo corso, che concili i sacrosanti obiettivi di carbon neutrality con le necessità di crescita economica.
La logica della competizione
In estrema sintesi, il Vecchio Continente, smarrito tra mancanza di leadership, particolarismi, e assolutismi ideologici ha perduto la voglia di rischiare, più precisamente ha perduto la capacità di competere. E la concorrenza, come scrisse Van Hayek “ (…) è il mezzo più efficace per scoprire il modo migliore di raggiungere i fini umani”.
La preoccupazione principale dello Stato, in questo caso di Bruxelles, non dovrebbe essere quella di imporre ai propri cittadini un progresso ideale, ma dovrebbe essere quella di render loro possibile “sperimentare un gran numero di modi diversi di fare le cose”, così da ottenere “(…) una varietà di esperienze, di conoscenze e di capacità individuali tali da consentire, attraverso la selezione ininterrotta delle più efficaci tra queste, un miglioramento costante”.
Dovrebbe quindi creare le condizioni – all’interno dello stato di diritto sia inteso – per incentivare i propri cittadini e istituzioni a rischiare, per invogliarli ad esprimere carattere e coraggio, per incentivarli a competere. La competizione è tutt’altro che un movimento egoistico orientato al profitto individuale, ma è un “ingranaggio sociale” che genera innovazione e di conseguenza ricchezza che i privati e lo Stato possono utilizzare per finanziare il benessere e il progresso sociale. In questa accezione, la competizione costituisce la più alta forma di collaborazione.